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La famiglia, scuola di parola e di accoglienza

 

La lettura del messaggio di papa Francesco in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali offre spunti per chi pratica l’accoglienza famigliare. Un contributo di Giorgio Cavalli genitore adottivo e socio di Famiglie per l’Accoglienza Milano.

Lo scorso 23 gennaio, nel messaggio per la XLIX Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali, papa Francesco ha voluto additare nella famiglia il modello e per così dire il “prototipo” di ogni possibile comunicazione tra le persone.

Il papa non ha fatto un astruso discorso teologico o sociologico, e non ha invocato una “teoria” o un’immagine della famiglia da contrapporre alle altre immagini o contraffazioni che si propongono oggi sul mercato delle sperimentazioni sociali. No, il Santo Padre ci ha piuttosto invitati a guardare alla nostra esperienza, alla vita quotidiana delle nostre famiglie, di ogni famiglia umana a partire proprio da quell’esperienza unica e insostituibile che ci costituisce tutti dal profondo: parliamo di quello specialissimo rapporto, fatto di carne e di sangue e di tessuti vivi che si innervano e si intrecciano in quel primigenio e profondo dialogo che avviene nel grembo di una donna, che avviene tra la futura madre e il figlio che viene al mondo. Un mistero che ad ogni nascita si rinnova. Papa Francesco: “Il grembo che ci ospita è la prima ‘scuola’ di comunicazione, fatta di ascolto e di contatto corporeo, dove cominciamo a familiarizzare col mondo esterno in un ambiente protetto e al suono rassicurante del battito del cuore della mamma. Questo incontro tra due esseri insieme così intimi e ancora così estranei l’uno all’altra, un incontro pieno di promesse, è la nostra prima esperienza di comunicazione. Ed è un’esperienza che ci accomuna tutti, perché ciascuno di noi è nato da una madre”.

E’ il grande “Mistero della nascita” intorno al quale hanno lasciato parole indimenticabili persone così distanti tra loro, come Pierpaolo Pasolini in alcuni suoi articoli sul “Corriere” in difesa della continuità della vita e come don Giussani in un suo meraviglioso dialogo con Giovanni Testori. E’ lo stresso Mistero vissuto 2.000 anni fa da Elisabetta e da Maria, e da Giovanni e da Gesù (cfr. Lc 1,39-56). Così commenta il papa questo delicato episodio evangelico: “questo episodio ci mostra la comunicazione come un dialogo che si intreccia con il linguaggio del corpo. La prima risposta al saluto di Maria la dà infatti il bambino, sussultando gioiosamente nel grembo di Elisabetta”.

Ma anche dopo essere venuti al mondo, suggerisce il papa, noi restiamo in un grembo allargato, che è la famiglia: “Un grembo fatto di persone diverse, in relazione: la famiglia è il «luogo dove si impara a convivere nella differenza»  Differenze di generi e di generazioni, che comunicano prima di tutto perché si accolgono a vicenda, perché tra loro esiste un vincolo. E più largo è il ventaglio di queste relazioni, più sono diverse le età, e più ricco è il nostro ambiente di vita”. Una rete di relazioni che è resa tanto più ricca quanto più sa accogliere, perdonare e valorizzare al proprio interno ogni diversità e ogni differenza: di sesso e di età, certo, ma anche di storie, di sensibilità, di salute e di malattia. Questo noi lo impariamo giorno per giorno, dentro all’affascinante, anche se talvolta doloroso e drammatico mistero dell’accoglienza familiare.

Mirabile anche l’affondo di papa Francesco sul significato “relazionale” delle parole che noi pronunciamo, che abbiamo imparato nella famiglia e che ci rendono corresponsabili gli uni verso gli altri: “È il legame che sta a fondamento della parola, che a sua volta rinsalda il legame. Le parole non le inventiamo: le possiamo usare perché le abbiamo ricevute. E’ in famiglia che si impara a parlare nella lingua materna, cioè la lingua dei nostri antenati” (2 Mac 7,25.27).

Se abbiamo questa consapevolezza che le parole più vere, mediante le quali soltanto possiamo esprimere i nostri sentimenti più profondi e segreti, sono da noi ricevute, donate, allora noi possiamo comprendere che niente di ciò che è veramente essenziale ha da essere inventato, che tutto ciò che noi siamo è semplicemente trovato, ci è “donato” da una tradizione, da relazioni vive di cui siamo intrisi giorno dopo giorno: solo se sappiamo accettare di essere figli, allora saremo anche veramente padri e madri.

Così, la coscienza del dono di un legame che ci precede è già anche apertura alla dimensione religiosa e a quella forma fondamentale di comunicazione che è la preghiera, innanzitutto per l’altro. Grazie a questa apertura al dono dell’altro, nella famiglia noi impariamo giorno dopo giorno la prossimità reciproca, il senso del nostro e dell’altrui limite, l’accoglienza di un figlio, o di un genitore, o di un coniuge in difficoltà: “Non esiste – dice ancora il papa – la famiglia perfetta, ma non bisogna avere paura dell’imperfezione, della fragilità, nemmeno dei conflitti; bisogna imparare ad affrontarli in maniera costruttiva. Per questo la famiglia in cui, con i propri limiti e peccati, ci si vuole bene, diventa una scuola di perdono”.

Così, come tantissime nostre famiglie ci testimoniano non senza travaglio, ma anche con profonda letizia, si impara nel cambiamento di ogni giorno il senso e il valore unico, educativo per tutti, della vita di un figlio ribelle, di una persona malata o anziana, o di un figlio disabile: “hanno tanto da insegnarci le famiglie con figli segnati da una o più disabilità. Il deficit motorio, sensoriale o intellettivo è sempre una tentazione a chiudersi; ma può diventare, grazie all’amore dei genitori, dei fratelli e di altre persone amiche, uno stimolo ad aprirsi, a condividere, a comunicare in modo inclusivo; e può aiutare la scuola, la parrocchia, le associazioni a diventare più accoglienti verso tutti, a non escludere nessuno”.

Di famiglie che vivono così ci scorrono nella mente nomi, volti e storie. Storie che desideriamo poter raccontare, perché, come ha detto papa Francesco, “I media tendono a volte a presentare la famiglia come se fosse un modello astratto (…) invece che una realtà concreta da vivere; o come se fosse un’ideologia di qualcuno contro qualcun altro, invece che il luogo dove tutti impariamo che cosa significa comunicare nell’amore ricevuto e donato. Raccontare significa invece comprendere che le nostre vite sono intrecciate in una trama unitaria, che le voci sono molteplici e ciascuna è insostituibile. La famiglia più bella, protagonista e non problema, è quella che sa comunicare, partendo dalla testimonianza, la bellezza e la ricchezza del rapporto tra uomo e donna, e di quello tra genitori e figli”.

Così anche noi, di fronte alle nuove sfide del presente che sembrano talvolta far arretrare la condizione umana per difetto di amore, di dedizione e responsabilità verso i più piccoli, desideriamo pazientemente seguire come figli l’esortazione del Santo Padre: “Non lottiamo per difendere il passato, ma lavoriamo con pazienza e fiducia, in tutti gli ambienti che quotidianamente abitiamo, per costruire il futuro”. Con pazienza e fiducia, giorno dopo giorno…

Giorgio Cavalli