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“L’accoglienza è una disponibilità docile e fedele a seguire una strada che c’è”

“La convenienza umana della famiglia: come l’esperienza dell’aprirsi all’accoglienza la rende evidente?” Incontro di fine anno per le famiglie del Trentino Alto Adige: circa ottanta persone hanno partecipato alla Messa, al pranzo  insieme e all’incontro del pomeriggio. Il racconto di Rossano.

Ogni volta, in questi incontri tra famiglie, stupisce la gratitudine con cui ciascuno se ne torna a casa, arricchito dal semplice stare insieme e raccontarsi l’esperienza che genera l’accoglienza in famiglia.

Rossano ha raccontato: “Perché accogliere ancora oggi, cioè prendere in casa uno diverso da me e dalla mia idea su di lui, vivere una quotidianità tra come io vorrei le cose e come esse accadono, tra la mia idea di bene e di strada buona sulle persone a cui voglio bene? Perché ancor oggi può essere un’avventura piena di gusto invece che una serie di ostacoli da aggirare o problemi da risolvere? Perché non mi sento così determinato o frustrato dalle cose se esse non hanno la forma che avevo in testa?

Unicamente perché c’è chi mi fa vedere, mi testimonia, mi sollecita a fare memoria di quell’esperienza buona già fatta molte volte ma che spesso si dimentica. Si può sempre ricominciare si può essere educati di nuovo: proprio quando lascio spazio alla diversità dell’altro o delle circostanze, posso sentirmi meno padrone della vita e guadagnare umanamente di più di quanto avrei sperato se tutto fosse andato come avevo in mente. Davvero, come ha ripreso don Carron recentemente: ‘Cosa ne so io di quale sarà la strada di bene per lui?’. Chiunque siano figli accolti o figli naturali o amici.

La prima conseguenza di cui continuo ad accorgermi è che questa posizione non me la posso dare, non può essere uno sforzo, che so bene ha breve durata, ma è l’esito di una disponibilità docile e fedele a seguire una strada che c’è, che per me in questi 15 anni è stata ed è la compagnia dell’associazione, dentro la Paternità della Chiesa e del movimento di Cl, che non ha mai mancato di offrirmi, a partire da quella di mia moglie, compagnia e amici di volta in volta vicini, strumenti di lavoro, testimonianze, scritti come le dispense e i nostri ritrovi. Tutto questo mi è necessario per potermi rilanciare, riprendere con speranza e positività le cose, paragonarmi a partire dalle piccole o grandi sfide che l’accoglienza non manca mai di offrirci sia con i ragazzi, le loro famiglie e i rapporti a volte difficili con i Servizi sociali coinvolti.

Recentemente in un incontro, Adele Tellarini ci ricordava che ‘Nelle storie più difficili, ma anche in quelle più facili, la sfida è quella di imparare a inginocchiarsi davanti alla loro persona, al loro cuore, al loro esserci, tanto più al loro dolore, di cui non sappiamo niente’. Questo non vuol dire ‘andare oltre’, ma ‘andare dentro’. Io lí ho cominciato non solo a capire ma anche a vivere che ci si può inginocchiare (come durante la messa) solo davanti ad un Mistero e questo cambia l’impressione rispetto a chi credo di conoscere già in tutto (moglie, figli, amici, colleghi). Il problema non è che devo mettere a posto la loro inquietudine, non devo liquidare le domande anche sofferte, ma custodirle.

Questo mi sta facendo sperimentare una novitá: un perdono di me stesso, dei limiti che mi riconosco, nelle cose che non so risolvere, in quelle che vorrei sistemare meglio, nel mio essere talvolta impaziente. E’ come se l’accettazione di me, così come sono voluto e fatto, mi stia consentendo poco a poco, di accettare l’altro perché c’è, per il valore che è, per la novità e il bene che ne può derivare. Questo mi sta liberando da uno sguardo che a volte può togliere l’ossigeno ai rapporti, anche i più cari quando faccio prevalere l’immagine che ho sull’altro rispetto al mistero della sua persona.

Riprendendo il titolo del libro Il miracolo dell’ospitalità, mi sono reso conto che il primo miracolo, il primo grande e insperato effetto dell’ospitalità, è il mio cambiamento”.