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Invito alla lettura: dalla dispensa di don Michele Berchi “Gratuitamente avete ricevuto…”

Proseguiamo i suggerimenti di lettura. Si tratta di una dispensa di Famiglie per l’Accoglienza, che riporta l’intervento di don Michele Berchi – rettore del Santuario di Oropa-  in occasione del seminario nazionale a Peschiera del Garda nel novembre 2018: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Ne riproponiamo la lettura attraverso l’aiuto che ne ha ricevuto una nostra amica nel vivere la situazione attuale.

“Settimana scorsa, nell’assistere al continuo aumento dei contagi e alle prime morti di persone care, mi assaliva lo sconforto, in particolare per la solitudine in cui si trovano a morire le persone. Accusavo il colpo della totale spoliazione di ogni conforto umano (Rosario insieme, funerale) che abbiamo sempre visto sostenere ciascuno di noi nel momento della prova. Quella sera ho ripreso in mano la dispensa di don Michele Berchi e questa parte della sua testimonianza mi ha fatto moltissima compagnia, mi ha mosso a ricominciare a cercare la vittoria di Cristo, che mi sembrava in quel momento lontana. (pagg.14-16)”

Andrea Aziani, (…) dopo una settimana, per farmi conoscere un po’ la città, mi condusse su una collina, il Cerro San Cristobal, che è al centro di Lima. È orribile, totalmente deserta, più che una collina la si potrebbe definire un Calvario. Da lì si vede Lima a 360 gradi, ed è una visione che lascia senza fiato… perché, a parte dove c’è il mare (Lima è una città portuale, non è in mezzo alle montagne come credevo!), a 360 gradi si vedono solo baracche o case non finite, che si interrompono al primo piano con i mattoni senza intonaco e i ferri che spuntano, fino all’orizzonte. Dune interamente coperte di baracche, è una roba che toglie il fiato! Io guardavo… e mentre cercavamo di capire dove fosse l’università, Andrea (è morto nel 2008 e nel 2016 è stata aperta la sua causa di beatificazione) mi disse:
«Vedi, da quassù è chiaro che, se anche tu trascorressi qui due vite, quel che fai, tutto quello che potresti fare, da qui non si vedrebbe». Era così. Andrea ha solo avuto il coraggio di dirmi quello che era evidentissimo, cioè uno sterminato bisogno in cui tu eri assolutamente insignificante. Io ho pensato: «Ma cosa sono venuto a fare qua?», perché credevo di poter essere utile. Invece lì era proprio una roba enorme, non ho mai provato in vita mia un tale senso di impotenza e di inutilità. Mentre scendevamo, Andrea mi disse: «Ricordati, Michele, che Cristo ha già vinto!». Io con sarcasmo ho pensato: «E meno male! Chissà se perdeva!». Ma è stato un sarcasmo che ho pagato con lacrime e sangue, con la fatica di dover cambiare una posizione. Qual è la posizione che a me interessa rispetto alla questione della gratuità e della carità vera? Che noi nel guardare la realtà inevitabilmente partiamo da quello che manca. Come aiutiamo un altro? Partendo da quello che manca. L’illusione è che quel che manca sia poco e in qualche modo affrontabile, che io possa far qualcosa. Allora c’è tutta l’analisi della mancanza e del negativo, e la progettazione di come rispondere alla mancanza. Ci sono alcuni campanelli di allarme in questa posizione che sono immancabili: sei sempre arrabbiato perché continui a fissare quello che non c’è, a guardare quello che non funziona, a lasciarti segnare da quello che dovrebbe essere e non è. La gente non ti capisce: il tuo progetto è così intelligente (è evidente!), ma l’altro non lo condivide come dovrebbe, non ti aiuta. E in più, finisce sempre che anche quello che tu aiuti non collabora, anche lui non capisce (come invece sarebbe opportuno che capisse) come lo stai aiutando. E difatti questa è un po’ la storia delle missioni: io ho incontrato tantissimi missionari arrabbiati con i ricchi, o con l’Occidente, o con l’Europa, o con gli americani, ma qualcuno con cui arrabbiarsi lo dovevano trovare, perché non funzionava. Come posizione è micidiale, perché è sempre segnata da quello che manca. Invece la gratuità nasce da un’altra posizione, da quella che ha detto Andrea: «Guarda che Cristo ha già vinto!». Cioè…
poter partire da quei germogli di pienezza, di vittoria ed essere collaboratori di questo è un’altra cosa. Vuol dire che ciò che io sto cercando non è l’analisi di quello che non funziona, ma, al contrario, il lasciarmi stupire da quel poco che funziona, da quel germoglio di vittoria che c’è.