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Incontro. Nessuno genera se non è generato. Il racconto di Massimo e Barbara

Nessuno genera se non è generato. Alcuni spunti dall’incontro del 20 Novembre scorso   con Massimo e Barbara, genitori  adottivi e affidatari.

apprendre-a-rouler-en-velo L’invito all’incontro era introdotto da una frase di J. Lynch:
“Salivo, mani sul manubrio, sguardo teso verso il fondo della stradina, in piedi sui pedali. …. All’inizio mi sorreggevano due mani di papà, poi solo una, poi libero – e schianto! Per me, quel gesto di sostenere e lasciare andare è l’immagine più chiara che ho della paternità, E’ ciò che mi ha fatto diventare uomo.Senza la mano che mi sosteneva, non sarei potuto partire.
Ma avevo anche bisogno a un certo punto che mi lasciasse. Ho imparato a vivere perché lui mi ha protetto dai pericoli troppo grandi, ma non dagli altri rischi che dovevo affrontare da solo. Il suo compito era di guardarmi lottare, accogliermi con le mie ferite e fallimenti, darmi il coraggio di riprovare ancora. E, infine, gioire della libertà che raggiungevo”.

Massimo ha iniziato la testimonianza così: “Confrontandomi con la frase del vostro volantino, mi sono spontaneamente immedesimato non solo con il padre ma soprattutto con il figlio. Ho pensato che fosse una sintesi di quanto viviamo: la nostra capacità di accoglienza che è un po’ “portata” dalla compagnia di Famiglie per l’Accoglienza.
Dopo il matrimonio i figli non arrivavano. Avevamo già un’apertura all’adozione. Ma questo percorso è stato comunque un cambio di prospettiva. E’ stato un cammino intenso: F. è arrivata in adozione nazionale che era piccolissima, nata prematura. L’abbiamo conosciuta dopo un mese e mezzo in Terapia Intensiva Neonatale. L’abbiamo accolta con baldanza ma anche ignoranza e ingenuità! Fortunatamente lei è cresciuta senza le difficoltà che molti prematuri incontrano.
In questo percorso siamo entrati i contatto con tante persone che vivono l’adozione e abbiamo sentito il bisogno di un luogo in cui condividere problemi, fatiche. Così abbiamo scoperto l’esistenza di Famiglie per l’Accoglienza e abbiamo scoperto che l’accoglienza era innanzitutto a noi. Per questo, nell’immagine del bambino portato dal padre in bicicletta e poi lasciato andare, abbiamo visto noi stessi”.

Barbara: “Francesca cresceva e tutto procedeva bene. Nel frattempo è successo altro: alcuni amici della parrocchia hanno cominciato a frequentare una donna che aveva esigenze elementari (pacco di alimenti, vestiti, …) e che frequentava l’oratorio. Le figlie, due bambine grandicelle, frequentavano già l’oratorio, anche perchè la mamma, che io non conoscevo ancora, era malata. Un giorno mi sono ritrovata a pensare: “Mi spiace per queste due bambine: non hanno quaderni, non fanno i compiti, non hanno da mangiare, la madre ha un tempo di vita breve” così un giorno mi sono rivolta a lei dicendole: “Se non ti senti bene, mandami le bambine; anche se vuoi andare a mangiare una pizza…”. Era una donna giovane e di origini straniere che stava sempre in casa, venuta in Italia troppo presto.
Così abbiamo accolto queste bambine. Loro hanno bisogno di essere guardate e in questo vivono e crescono. Questa accoglienza è nata mentre si concludeva positivamente l’iter burocratico per la seconda idoneità all’adozione. Vivevamo una grande domanda su come comportarci. Quel periodo di circa 6 mesi è stato travagliato fra una storia nata in quartiere e la concreta prospettiva di una nuova adozione. Vivendo la quotidianità di questa nuova accoglienza, alla fine, non abbiamo mai ritirato il Decreto dal tribunale.
In tutto questo la strada, che si rivelava diversa da quel che ci immaginavamo, era un di più che il Signore ci chiedeva. Il nostro affidarci è sostenuto da una compagnia, dallo sguardo degli amici. Il percorso di adozione abbandonato è stato traumatico, però il Signore ha sfruttato la nostra disponibilità che è stata naturale di fronte ad un bisogno che chiamava proprio noi. Ci sentiamo in cammino. Siamo in cammino e non sappiamo dove questa nostra strada andrà a finire. Possiamo però dire che “il Mistero si è fatto carne e abita in casa nostra”.

Massimo ha sottolineato ancora: “Lasciare e tenere.. lo viviamo anche su di noi. Non è portabile da noi due soli. La compagnia non risolve i problemi, ma sostiene. E’ una compagnia che aiuta a saltare i fossi. Abbiamo detto sì a una circostanza anche perché sentivamo che, in un modo o nell’altro, il salto era accompagnato”.

15 Dicembre 2015