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“C’è ancora un desiderio grande, d’intensità, di gioia, di vita nonostante il passare degli anni”.

Il racconto di due amici, marito e moglie, che al Meeting di Rimini hanno testimoniato la possibilità di una vita lieta, leale coi propri desideri.

Isabella racconta: “Tirar su una famiglia, non senza fatica. Trovarsi poi grandi, con figli che cominciano ad essere ragazzi e poi uomini ed essere aiutati proprio da loro a guardare con verità alla propria vita e ai grandi desideri del nostro cuore. Scoprirsi amati e graziati, ma anche sentire che in fondo c’è ancora un desiderio grande, d’intensità, di gioia, di vita che è ancora lì, intatto, nonostante il passare degli anni. Penso che questo sia stato il primo audace passo di accoglienza che abbiamo fatto: accogliere il nostro cuore con tutto il suo grido di pienezza. Siamo arrivati a questo grazie ad un nostro figlio, allora diciottenne meraviglioso ed inquieto, che ci ha chiesto ragione, a suo modo, della nostra vita. Ci ha costretti a chiederci se eravamo contenti di ciò che avevamo ricevuto. Così ci siamo rimessi in cammino, abbiamo ricominciato a cercare per noi dei luoghi e delle persone vive, che potessero aiutare a riprendere la strada con coraggio e audacia.

Così siamo arrivati a Famiglie per l’Accoglienza, cui  avevamo sempre guardato da lontano, con invidia, per l’amicizia che vivevano e la profonda leggerezza con cui li vedevamo vivere, pur in mezzo a mille fatiche. Ho deciso di provare ad andare a fondo di questa simpatia iniziale, di questa misteriosa corrispondenza che sentivamo sia io che mio marito. Prima una merenda, poi un’amicizia, tanto semplice quanto vera, che ci ha fatto fare l’esperienza di essere accolti, fino in fondo e senza censurare nulla di noi. L’effetto che ha avuto su di noi questa compagnia è paragonabile a quello che si produce con una trasfusione, una trasfusione di vita e di speranza.

Così, in queste rinnovate circostanze, grati per essere stati accolti, è rinata anche la voglia di riprendere in mano il desiderio di allargare la nostra famiglia e di aprirci all’esperienza dell’affido. Un desiderio che io ho sempre avuto, ma che non si era mai concretizzato perché aspettavo sempre che la nostra famiglia potesse raggiungere un equilibrio e una armonia che in realtà non sembrava venissero come le avevo in mente io. Dentro questa amicizia, mi è sembrato possibile riprendere in mano questo desiderio e valutare seriamente la questione e mio marito mi ha seguito.

Carlo: “Quando mia moglie mi ha proposto di iniziare questa esperienza di compagnia mi ha particolarmente colpito il grande desiderio che lei aveva di ‘aprire’ la nostra famiglia a chi ne aveva bisogno. Questo poi in un periodo in cui, con i figli che iniziavano ad essere indipendenti, la vita poteva iniziare ad essere più tranquilla e rilassata. Era evidente che quel desiderio nasceva da una consapevolezza di sovrabbondanza, dalla gratitudine per aver ricevuto immeritatamente molto, dalla certezza che siamo accompagnati da Qualcuno di più grande di noi. Era un desiderio di non tenere come tesoro nascosto un grande dono che ci era stato fatto e continuava ad esserci offerto. Così ho accettato, riconoscendo che tramite la proposta di mia moglie, era Cristo che bussava alla porta di casa nostra e chiedeva di poter entrare.

Qual’è stato  il primo cambiamento avvenuto in me? Non penso di essere né migliore né peggiore di com’ero prima, probabilmente più consapevole e più desideroso di fare quotidianamente l’esperienza di questa sovrabbondanza. Penso di essere più attento nello scorgerenel quotidiano come Cristo si fa a me prossimo e più famigliare. Mi accorgo che diventa indispensabile poter fare memoria quotidiana di quelle evidenze che ci hanno aperto il cuore a questa sfida dell’affido. Altrimenti la mia vita comincia ad intristirsi a chiudersi nelle piccole certezze che mi fanno stare bene, nei piccoli successi personali. Ma la vita è una, non è possibile dividerla in parti distinte dove alcune vanno bene e altre male. E così è per l’affido, che rimane nella sua bellezza un’esperienza faticosa che richiede molte energie e che può anche facilmente trasformarsi in una grande fatica che taglia le gambe.

Il lavoro che questa esperienza mi costringe a fare è quello di desiderare una vita piena, di profonda realizzazione volgendo lo sguardo a Chi ci ha promesso questa pienezza. Un altro cambiamento che riconosco essere avvenuto è che l’esperienza dell’affido mi ‘costringe’ inevitabilmente ad affidarmi di più della Provvidenza, ad affidare questi bambini a Chi può realmente renderli felici: questo è diventato un’evidenza, perché non potremo essere solo noi con i nostri sforzi – e soprattutto con le nostre fatiche e limiti – a risolvere i molti problemi che ci sono. Questa consapevolezza non può essere solo rivolta ai bambini ma vale per tutta la mia vita”.