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Affrontare l’origine dei figli certi che non si cadrà

Alcuni appunti dall’intenso dialogo di sabato 6 aprile a Torino con Simona Sarti, assistente sociale di Bologna: incontro a chiusura del percorso di quest’anno del gruppo di famiglie adottive sul tema delle origini dei bambini adottati. Appunti non rivisti dall’autrice.

E’ stato un dialogo serrato con a tema questioni concrete, problematiche che si presentano nel rapporto coi figli, timori rispetto al futuro.

Inizia Michele chiedendo come rispondere alle domande dei figli che a volte sembrano buchi neri da colmare. Simona: “Il problema non è avere risposte perché i buchi hanno un’origine che, anche avendo tutte le risposte, non potremmo colmare. Bisogna guardare anche ai lati oscuri della loro storia. Come guardo a questo dolore che mio figlio si porta dietro? Certamente non posso eliminare il suo dolore. Dobbiamo sapere che l’informazione sull’evento doloroso non produce lo stesso dolore dell’evento: quindi se si accetta, può aiutare parlarne. Le cose che sanno i genitori, sono scritte nel loro corpo. Quindi magari la loro mente non le ha chiare, ma il loro corpo si. Magari odori, colori, situazioni, risvegliano la memoria del bambino. Non bisogna aver paura di riattivare un dolore. A seconda dell’età del bambino, a seconda di quello che è dicibile, (dipende anche da me) a domanda si risponde. A volte le domande non sono esplicite ma le fanno col corpo. Poter parlare del trauma non è più doloroso di quello che hanno già passato, anzi, forse, siamo noi che abbiamo paura. Loro soffrono molto ma sono meno spaventati di noi. Bisogna aiutarli a capire quello che sanno”.

Michela pone una domanda sull’adozione internazionale, sui dubbi di quando e se tornare nella terra di origine, a volte con una cultura tanto diversa dalla nostra. Simona sottolinea: “Bisogna chiedersi piuttosto cosa è capitato a questi bambini arrivando in Italia. Certamente è giusto che venga insegnata loro la nostra cultura, però è più giusto chiedersi cosa gli capiterà incontrando di nuovo la cultura di origine. Il problema non è quindi una cultura o un’altra, ma quando si dimentica un pezzo. Il viaggio nel paese d’origine non ha una età e una scadenza. Quindi si può iniziare a viaggiare con la fantasia, con un documentario, qualcosa in casa. E bisogna porsi la domanda di che cosa si possa trovare là. I genitori è bene che prima facciano delle ricerche. Dietro la domanda di tornare può esserci anche un momento di sofferenza del figlio”.

Poi domande su figli che vengono lasciati ai parenti perchè i genitori non riescono a tenerli, ma nel tempo poi hanno altri figli e vien fuori, da grande, la domanda: “Perché loro sì e io no? Perché non mi hanno voluta?”. Così ci si chiede: “Come aiutare a perdonare? Come si fa a guardare il bene? Come si può vivere vicino a una figlia e dimenticarla?”. Simona risponde: “I bambini sanno riconoscere subito dove è il bene. Con l’adolescenza si prende coscienza di sé e delle ingiustizie. A volte però non si può dare un senso: le ingiustizie restano tali. Però stare con qualcuno che da questa ingiustizia non è annichilito è importante. Quella ingiustizia ci ha fatto incontrare. La vita è fatta da gioie e dolori. I dolori sembrano prendere il sopravvento e questo non deve accadere. Se noi attendiamo che una storia possa fare dei passi avanti solo perdonando, rischiamo di aspettare tutta la vita. Perdonare vuol dire tante cose. Invece mi sembra più utile insinuare nella vita di C. che nella sua storia c’è un germoglio di bene, al di là del perdono. È vero che subiamo le conseguenze di una azione brutta, ma non è detto che l’altro in quel momento abbia fatto del male con intenzione. Sospendiamo il giudizio.”

E rispetto a figli che non hanno più una famiglia e sono in comunità? E vogliono anche loro tornare nella loro città di origine? Simona sottolinea: “Si fa famiglia con chi c’è. Non si devono fare cose avventate ma occorre qualcuno che li accompagni. E comunque il viaggio va preparato per capire prima cosa si troverà. Non diamo per scontato che la domanda di tornare non sia in realtà un’altra domanda. Ci stanno dietro pensieri, emozioni, dolori, fatiche e i ragazzi si illudono di risolvere con un incontro a tu per tu.”

Gli incontri con Simona sono sempre ricchi di punti utili per tutti, con cui confrontare le proprie domande di genitori che desiderano il bene per i propri figli e ci si accorge che per affrontare le origini dei propri figli, in particolare di quelli che hanno storie “faticose” alle spalle, occorre essere come questa donna ritratta sul quadro di Telemaco Signorini, “Giornata di vento”: prendere in mano i figli e andare incontro a questo pezzo di storia, certi che non si cadrà, anche di fronte a quanto possa emergere, perché c’è nella nostra vita quell’Oltre che ci conduce, anche nella bufera, e che non ci molla mai.