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Dov’è il tesoro preparato per me?

Sabato 18 gennaio. L’incontro mensile a Torino è con la famiglia Zucchetti: Angela e Roberto raccontano la loro storia fatta di tante accoglienze, “battaglie” e tesori da scoprire in tutto ciò che accade.

Inizia Roberto dicendo che “Si parte da un’educazione ricevuta e nel tempo capisci che quel che tiri fuori è perché un altro te l’ha messo dentro: genitori, educatori, persone significative che hai incontrato. Da ragazzi abbiamo aderito a GS: alla domenica andavamo a giocare con i bambini di famiglie povere nella Bassa milanese e poi due pomeriggi andavamo in casa loro per aiutarli con i compiti: lì abbiamo visto le contraddizioni di quelle situazioni, abbiamo visto la realtà com’era, cercando di incontrare l’altro senza avere la pretesa di sistemare il loro problema… impari, perché entri in casa dell’altro. Era il ’68, gli altri facevano la Rivoluzione, noi a giocare con i bambini in strada”.

Si sposano, ma i figli non arrivano e si inizia a intuire che la strada è un’altra, con la certezza, dicono, che “dentro ogni circostanza c’è la possibilità di trovare un bene per noi”. Angela incalza “Era un punto dolente da guardare in faccia: cosa stavamo costruendo? Poi un giorno ci siamo detti: “siamo fatti così: è un dato di fatto” e mi è venuta in mente la mia maestra delle elementari quando diceva che se non usi tutti i dati di un problema quello non viene. Allora è partita la caccia al tesoro: a cosa serve questo dato ineludibile che la sterilità? Cosa c’entra con la nostra felicità? Abbiamo deciso di “aprire diverse porte” e tra altri tentativi abbiamo fatto domanda di adozione dicendo: <<Apriamo le porte di casa, il buon Dio ci farà capire a cosa ci sta chiamando>>. Dopo poco, ci hanno chiamati per una bimba di 4 anni e mezzo con un passato difficile. Li è iniziata la prima sfida “ma non riempiendo un buco di qualcosa che manca, ma dando un senso a ciò che ci era dato”.

Roberto continua: “negli anni sono passate per casa nostra molte persone. Con ogni persona accolta, partendo dal suo dolore e dalla sua difficoltà è sempre partita una caccia al tesoro, chiedendoci in ogni situazione complicata: <<Il tesoro dov’è? Ora non lo vedo, ma so che c’è>>, perché nelle circostanze che ci sono date c’è sempre la traccia che ti porta alla felicità. Uno, così, cambia e da lamento e dalla rabbia si apre alla ricerca di un bene possibile”.

Incontrano gli amici di Famiglie per l’Accoglienza, che stava allora nascendo (siamo negli anni ’80), “perché non si può stare soli, non si possono affrontare le fatiche e i pianti da soli”.

Con la prima figlia “è stato il primo scontro, il suo atteggiamento era di sfiducia e quindi era su tutto NO. Non riusciva a dire mamma, ma era uno spettacolo vederla crescere e affrontare la vita, come solo i bambini sono capaci di fare” dice Angela.

Con la seconda disponibilità è arrivata la seconda proposta di abbinamento “Noi avevamo indicato un’età oltre i 6 anni ed è arrivato invece un bimbo di 6 mesi, malato di morbo blu (una malattia
cardiaca). Ma ci siamo chiesti <<Perché no?>>. Noi ragioniamo sul positivo nella vita, perchè sappiamo che c’è un bene per noi.” Il bimbo muore dopo un anno “ma siamo stati sempre accompagnati dagli amici e dal Signore. Da quel giorno viviamo con la consapevolezza di avere un pezzo di famiglia in Paradiso”.

Con la terza disponibilità arriva il figlio dello “scontro fisico”: 8 anni, pieno di rabbia. Roberto racconta “Sono stati quindici anni di guerra assoluta; buttato fuori da tutte le scuole del Regno, perché viveva senza fidarsi di nessuno. E’ cresciuto quando, andando all’estero con altri ragazzi, non ha più potuto fare la vittima.
Occorre puntare sulla loro libertà: senza rete di protezione i nostri figli diventano grandi”.

“I nostri figli devono vedere che siamo felici, i figli ascoltano con gli occhi, parole zero. Vedono tutto e non vogliono essere visti. Tu parli con la tua vita. E’ un’avventura bellissima, fatta insieme, non mollate mai gli amici!”

Le accoglienze negli anni sono state tante: dalla ragazza madre che ha bisogno di capire come si vive in famiglia per poter crescere sua figlia, ai senza tetto, ai migranti, per una cena o un tempo più
lungo: tutti bussano alla porta. E la porta è sempre aperta perché “l’ospite è un grande aiuto in casa, tira fuori il meglio di te!”

Arriva una domanda finale sulla scuola e le difficoltà che questi figli hanno nell’affrontarla e Roberto spiazza tutti dicendo “il metodo di studio è il rapporto tra tuo figlio e la scuola, non
mettetevi in mezzo. Se la scuola non va bene, se ne troverà un’altra. I figli hanno una paura matta di fallire e fanno coincidere il loro successo con la nostra approvazione, hanno paura di deludere i
genitori. A tavola non si parla di scuola! Curate il pranzo insieme, trovate un argomento piacevole su cui parlare, ma non la scuola. Lui non è quei disastri lì. Hanno bisogno di sentire che tu hai stima del tentativo umano che stanno facendo.”

Ascoltarli raccontare della loro vita fatta di tante accoglienze, ma anche di tanta fatica e dolore, con la letizia che li contraddistingue ha permesso ai tanti presenti di capire che, come dice Chesterton : “La vita è la più bella delle avventure, ma solo l’avventuriero lo scopre” aggiungendo, non da soli!

La serata finisce così, con una cena in grande compagnia!