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Una rinascita che contagia

Fine anno sociale in Toscana con un incontro – ancora una volta online – e un dialogo con il presidente nazionale di Famiglie per l’Accoglienza Luca Sommacal. Daniele racconta come è andata.

Sabato 30 maggio con il sole che invita a lanciarsi in passeggiate, per godersi la tanto attesa “Fase 2”, quaranta famiglie toscane si sono ritrovate ancora una volta davanti a uno schermo: l’occasione, l’incontro di fine anno sociale di Famiglie per l’Accoglienza della Toscana dal titolo: “Nell’accoglienza un bene che permane”, a cui partecipa Luca Sommacal.

Immagine Luciano in apertura dell’incontro pone a Luca la domanda che ha spinto questo ritrovarsi: “Alla luce di quello che abbiamo vissuto durante questi mesi: come nella tua vita e nella tua famiglia riconosci questo bene che permane nell’esperienza dell’accoglienza?”.

Luca racconta quello che, nella semplicità del vivere di questi mesi, lo ha toccato, dell’intensità nuova scoperta nel vivere le cose normali: “Quello che accade è un bene e lo posso capire perché comincio a percepirne l’intensità, così inizio a stare dentro a ciò che accade con tutto me stesso, riconoscendo un bene per me e per la mia conversione”.

Luca nel raccontare come questa consapevolezza pian piano è maturata parla di sua moglie e dei suoi due figli. È attraverso la loro presenza, il dialogo stretto e quotidiano con loro – ovvero l’esperienza di accogliere e di essere accolti – che è stato riportato al vero rapporto costitutivo che definisce ognuno di noi: quello con il Signore. E così la famiglia diventa il primo luogo in cui possiamo accorgerci di questo rapporto imprescindibile.

Luca durante il suo periodo di confinamento in casa ha scoperto come il “rapporto con sua moglie sia stato un richiamo continuo a guardare fino in fondo la realtà”. Nel descrivere la ricchezza di questo aiuto porta alcuni esempi di vita familiare – di cui ognuno di noi ha potuto fare esperienza in questi mesi – che arrivano al cuore di tutti come segno dell’origine dell’accoglienza vera fra marito e moglie.

Dalla testimonianza di Luca si rende evidente come questi mesi abbiano reso più viva la consapevolezza di come la famiglia sia il segno di questa accoglienza, di questo bene che permane.

Infine si sofferma sul dono dell’amicizia e su quello che ha scoperto attraverso la mancanza di poter vedere fisicamente i propri amici. C’è bisogno di una fisicità dei rapporti per poter vivere, ed i tanti modi che sono nati per incontrarsi online (come il “Muretto” in Toscana), sono il segno strutturale di un desiderio indomabile scritto nel nostro cuore, che non si ferma davanti a delle contingenze che ti bloccano. Si scopre così che “ci sono delle amicizie utili perché ti aiutano a stare davanti al Signore, senza dover censurare fatiche e preoccupazioni. Anzi, è proprio dentro queste fatiche che continuiamo a cercarci”.

Proprio come è successo a Firenze, dove l’amicizia fra noi ha permesso di rispondere anche a criticità importanti o di aiutarsi nel rapporto con i figli sostenendosi rispetto alla loro sofferenza nel dover stare a casa. Ora che tutto sta tornando verso una normalità queste scoperte non vogliamo perderle, “ma stiamo vivendo qualcosa – dice Luca – che è già un inizio di ripresa, c’è un’audacia piena di ragioni nel coinvolgersi con altri per costruire”. Ecco la scoperta: la carità non avrà mai fine perché si allarga, si dilata ingaggiando altri. E così l’esperienza che viviamo nelle nostre case da privata diventa esperienza pubblica. Per tutti. Conclude così la sua testimonianza: “E allora uno rinasce! E questa rinascita contagia, altro che coronavirus!”.

Tutti, al di là dello schermo, rimangono molto colpiti. Da alcuni di noi emerge qualche contributo sul modo in cui abbiamo vissuto in questi mesi. Come per Barbara che racconta del bisogno di non essere da sola rispetto a suo figlio e dell’esperienza di compagnia donata dal Muretto: “Il Muretto – racconta – è diventato un luogo in cui poter fare esperienza rispetto alle difficoltà quotidiane e spesso mi sono ritrovata a pensare: cosa mi direbbero adesso i miei amici del Muretto? E questo, anche se le difficoltà rimangono, mi allarga il respiro. Un’esperienza così non la potrò mai scordare”.

Poi Stefania racconta di una gratitudine per questi mesi che, dopo una fatica e una paura iniziale, ha scoperto grazie all’esperienza viva di invitare Gesù in quella che è la barca della propria vita.

Infine Giampiero descrive il cammino di grazia vissuto in questi mesi, toccato personalmente dalla malattia del coronavirus: “È stato un tempo per me, dove la fiducia in ciò che stava accadendo mi ha reso libero. Anche nella malattia c’era un bene per me: accettare che è un Altro che mi fa essere. Poi al ritorno a casa ho scoperto come l’esperienza della compagnia Famiglie per l’Accoglienza è stata per me la possibilità di ridare un giudizio giorno per giorno sulla mia famiglia e su quello che quotidianamente accadeva in casa”.