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L’accoglienza è un SI che inizia a cambiare te

L’incontro on-line di presentazione del libro ‘Un bene che permane’ di venerdì 14 maggio è stata l’occasione per conoscere e scoprire di più la vita dell’ospite speciale della serata: don Federico Pichetto, uomo con una storia che ben spiega di questo bene che permane. Figlio adottato e poi accolto, ha quindi avuto ben tre famiglie diverse.

Inizia così il suo racconto: “Dico una cosa molto importante: quando una persona viene adottata o presa in affido non è mai contenta di essere adottata o presa in affido e in fondo pensa anche che se qualcuno l’ha abbandonata o non l’ha voluta, un po’ di colpa ce l’ha. In qualche modo, sotto sotto, cova un senso di colpa. Che cosa ho che non va? Che cosa ha fatto in modo che non ci fosse spazio per me? Uno può partire anche dalla domanda più sbagliata del mondo (e forse quella che manifesta il senso di colpa è una domanda sbagliata), ma è quella la domanda che ci interessa e a cui bisogna stare davanti. Io me la sono posta tante volte e tutte le volte che ho trovato una difficoltà ho dato la colpa a questo, che in fondo ci fosse qualcosa in me che non andasse, da sempre”.

Continua poi con un affondo sul libro descrivendo Famiglie per l’Accoglienza come un luogo dove puoi trovare “l’offerta di un perdono alla tua vita, io ti perdono per avere pensato che non sei stato amabile, per non avere avuto questa stima di fondo per la tua stessa vita. E’ questo il vero segreto del cammino di questa associazione. La persona riparte sempre quando si sente amata e perdonata. E il perdono non si fabbrica. Il perdono è qualcosa che si costruisce, che succede quando siamo persone libere. Questo è un libro che racconta la storia di figli perdonati, non di figli accolti. Abbracciati nel sentirsi un non valore ed essere restituiti alla vita. Non sottovalutiamo mai il senso di colpa che questi ragazzi hanno perché ritengono di essere stati abbandonati, ma ricordiamo sempre la sovrabbondanza che è il perdono”.

La commozione del racconto della sua vita, passato in tre famiglie tutte molto diverse e particolari, che gli fan dire che per lui è difficile dire cosa sono una mamma e un papà visto che ne ha avuti tanti, è un contraccolpo in tanti dei collegati all’incontro.

Il racconto si arricchisce di particolari anche sulla sua esperienza di educatore in una scuola dove ogni giorno “c’è una mamma a scelta che vuole difendere a spada tratta il figlio dalla realtà. Non bisogna aver paura di far vivere ai ragazzi il fallimento, l’interrogazione che va male. Il pensare che se prendi un brutto voto allora non vali niente”.
Così la sfida ad uno dei ragazzi della scuola coi voti migliori si trasforma in uno stupore: “Ma lei come fa a sapere che io penso così? Che ho quella paura di essere sostituito, perché se non sono più speciale, cosa serve che io stia al mondo?”.

E’ un’esperienza di tutti. Arriviamo a non sapere più chi siamo. Può succedere a chiunque. Siamo così insicuri, temiamo di essere sostituti e ci siamo costruiti una corazza dove gli altri non ci toccano più, così non stiamo più a contatto con il nostro dolore.
“A volte vogliamo talmente proteggere questi figli che li si genera all’incertezza e non sanno più chi sono e quanto valgono davvero. Pensate: come si impara ad andare in bicicletta? Cadendo . Oggi non ci sono più bambini con le ginocchia sbucciate. E’ un mondo dove non c’è più spazio per l’io. E’ difficile fare uscire i figli dal grembo, ma devono uscire perché altrimenti non sanno chi sono e sono in balia della corrente”.

Questo esempio è quello che più ha colpito i presenti perché tante volte ci troviamo a voler proteggere i nostri figli dai dolori, dalle sconfitte, ma come dice il titolo del libro il Bene permane anche nella fatica e nel dolore, anzi proprio in quella situazione faticosa uno può scoprire di più chi è e crescere.

Infatti don Pichetto continua dicendo “Non dobbiamo coprire la ferita appena vediamo che sanguina. La mia seconda mamma mi aveva messo un casco di gommapiuma e riempito di protezioni perché aveva il terrore che mi facessi male. E io le voglio un gran bene per questo, ma è importante che le ferite ci siano, che non siano ottuse da nessuna protezione perchè in fondo a quelle voragini si ritrova la solidità nella vita”.

Alla domanda su “cosa è per te l’accoglienza?”, don Federico risponde “L’accoglienza è dire SI. È quel Si di fronte a un tu qualunque, che non fa bene a lui, ma fa bene a te. Tante persone cominciano ad accogliere per sentirsi come tutti gli altri, per riempire un vuoto. Quando sono arrivato nella mia seconda famiglia nessuno voleva me, sono arrivato io, ma non ero l’immagine che avevano loro. All’inizio erano contenti. Ma quando iniziano le fatiche e vuoi ridare indietro questo figlio diverso da come l’avevi in mente, è lì che comincia la vera gratuità. Così quel si inizia a cambiare te. L’accoglienza è un SI che comincia a cambiare te. Questi due genitori sono cambiati nella loro esperienza con me, perché è quando non vuoi più una cosa, che inizi ad imparare ad amare davvero”.

Ma la tentazione di cambiare qualcosa di sé e delle circostanze è sempre dietro l’angolo, quindi come si fa?
“Non sprecandoci tempo. Io ho una percezione di me e non posso liberarmi da quell’idea. Ma è quando la domanda diventa obiezione che è un problema. Non siamo i protagonisti di una favola. Siamo dentro un movimento di vita. Santa Teresa di Lisieux amava molto pregare e pregava alzandosi molto presto. Racconta che con lei c’era sempre un’altra suora più anziana che mentre pregava ticchettava sul banchetto del coro e lei non riusciva più a pregare. Ad un certo punto, però, le sue consorelle che sapevano di questa cosa, vedono che Teresa non si arrabbia più, e le chiedono come mai. Teresa risponde ‘mi dava fastidio perché non avevo capito che Dio attraverso quel ticchettio aggiungeva musica alla mia preghiera’. Non era più un’obiezione, ma qualcosa che ti fa compagnia”.

Il racconto finisce con il momento della sua ordinazione in cui ha pensato non ad una preghiera , ma ad una canzone di Ligabue – Il centro del mondo – ‘Portami dove mi devi portare, Venere, Marte o altri locali. Fammi vedere cosa succede a viaggiare davvero’ Fammi capire cosa vuol dire amare davvero. “Chissà quante persone incontrerò facendo questa cosa e ho capito che tutti quelli che avrei incontrato erano già li con me. Quindi c’eravate anche voi, che ho conosciuto questa stasera. Questo è il mistero e la promessa della vita.”

Finché c’è vita c’è mistero, viene da concludere, ringraziando per la profondità e sincerità del dialogo con don Federico, che incita ancor più alla lettura del libro, per scoprire che il bene ricevuto lo capiamo mentre lo si vede permanere, dicendo di si alle cose che ci capitano, che non viviamo in una favola, ma dentro una grande promessa di bene e che dentro ogni SI c’è già tutto.

Buona lettura.