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Destinata ad incontrarli

Paulina, educatrice presso la casa Fontana Vivace di Genova: uno sguardo sui bambini che tiene conto della propria storia.

Paulina, puoi raccontare, in breve, la tua storia personale?

La mia vita è iniziata a Santiago del Cile 31 anni fa. Sono nata in una famiglia povera e numerosa dove probabilmente c’erano troppe bocche da sfamare.
A 4 anni sono stata portata dai miei parenti nell’ istituto religioso “Hogar de Cristo”: ero accolta insieme ad altri bambini, non ho ricordi nitidi di quel periodo ma ancora oggi porto nella memoria alcune canzoni che mi venivano cantate.
Sono stata in affido presso una famiglia cilena per circa un anno, venivo accudita da una certa “Tia Maria”.
Successivamente sono arrivati il mio papà, Umberto, e la mamma, Mina, coi quali ho vissuto prima a Roma e poi a Genova.
Mi piace raccontare che qui in Italia sono figlia unica, mentre in Cile siamo in 8 tra fratelli e sorelle!
Mi sento tra le persone più fortunate sulla Terra per aver avuto l’opportunità di fare esperienze uniche, che mi hanno arricchito, e penso che niente sia lasciato al caso in questa vita ma che per ogni evento ci siano infiniti insegnamenti.
Non riesco a ricordare in modo vivido il mio arrivo, ma rispetto alla mia Famiglia sento di essere sempre stata destinata ad incontrarli: non mi riferisco solo ai miei genitori ma anche ai nonni e agli zii.. ognuno di loro, ogni giorno, mi insegna qualcosa.

Perché hai scelto questo percorso di studi per giungere al lavoro che svolgi attualmente?

La scelta dei miei studi è stata fatta prevalentemente per imitazione, immagino, di mia madre.
Mi sono accorta, da qualche anno, che la mia infanzia e la mia adolescenza le ho vissute quasi prive di coscienza non pensando di pianificare o progettare concretamente il mio futuro.
Non so se questo aspetto sia imputabile alla mia storia personale, alla mia serietà o ad altri fattori e non so ancora se dipenda da adulti che non hanno saputo portarmi a questo tipo di centratura.
Ad ogni modo ho seguito le orme di famiglia, mia madre insegnante e mia zia pedagogista, forte del fatto che forse avevo una predisposizione alla relazione e all’incontro con l’altro.
Aver preso coscienza di questa mancanza mi ha inizialmente imbarazzato, ma successivamente mi ha infuso la serenità di poter scegliere ogni giorno cosa imparare.
Poter dialogare e interagire con bambini e adulti nella quotidianità mi dà la possibilità di imparare ogni giorno aspetti della vita che altrimenti, lavorando magari davanti a un computer, rischierei di perdere.
Dopo aver concluso il mio percorso di studi in Scienze della Formazione ho lavorato per qualche anno in un ufficio che si occupava di formazione professionale, ma questo tipo di lavoro non rispondeva alle mie aspirazioni, dato che mi sono sempre sentita più portata per un lavoro di tipo relazionale.
Appena ho avuto l’opportunità di svolgere il lavoro per cui avevo studiato ne ho approfittato subito e mi sento di dire in tutta sincerità che non tornerei sui miei passi.

Raccontaci cosa significa essere l’educatrice in una Casa-Famiglia: la bellezza, le difficoltà…Cosa pensi dell’istituto dell’affido, e cosa ti ha colpito nelle famiglie affidatarie che hai incontrato?

Lavorare come educatrice in una Casa-Famiglia per me significa chiedersi quotidianamente quale sia il modo migliore di “Essere” in presenza dei bambini e delle famiglie.
Non avendo avuto esperienze pregresse, ogni giorno vuol dire “entrare in corsa” in vite che hanno mille sfaccettature, che in parte ignoro, nelle quali sento la necessità di affacciarmi in punta di piedi.
Soprattutto nei primi mesi con i bambini ma anche con gli adulti è stato importante conoscerci e prendere le misure con i vari caratteri e temperamenti.
Più che sul Fare, per il quale confido nelle indicazioni dei genitori e dei bambini stessi, mi concentro sull’Essere per avere una coerenza comportamentale e per essere un “modello equilibrato”, né troppo entusiasta né troppo passivo, in modo da non forzare le relazioni e i sentimenti.
Entrare in una Casa-Famiglia significa entrare contemporaneamente in più vite, composte da esigenze e desideri differenti che talvolta coincidono, ma che la maggior parte delle volte divergono a causa dell’età, dell’umore o di dinamiche instauratesi precedentemente e che a volte possono sfociare in conflitti.
Gestire questo tipo di rapporti non è sempre semplice ma è un aspetto del mio lavoro che apprezzo particolarmente: riuscire a superare queste “sfide” mi permette di crescere, oltre che professionalmente, anche a livello umano e di consolidare nel tempo il mio rapporto e la fiducia con le famiglie.
E’ stupefacente osservare come così tante vite e diverse famiglie (a Fontana vivace vivono 5 nuclei familiari n.d.r.) possano integrarsi come ingranaggi di un orologio ed essere di supporto le une per le altre.
L’affido è una delicata opportunità, sia per le famiglie sia per i bambini, di vivere relazioni che di base hanno la volontà di mettere al centro il benessere dei componenti familiari e in secondo luogo di fare esperienze che diano strumenti ai bambini da usare un domani.
L’aspetto che principalmente mi ha colpito è l’energia e l’impegno posto dai genitori per l’accudimento, affettivo e organizzativo, di ogni figlio, naturale e non, presente in casa. Vedere come niente viene lasciato all’oblio o alla dimenticanza mi ha stupito enormemente. Un ulteriore aspetto che mi ha affascinata molto è la storia di persone che sono state ospitate a Fontana Vivace e successivamente hanno proseguito per la loro strada senza dimenticare la Casa-Famiglia che li ha accolti.
Una sorta di porto sicuro dove attraccare per ricevere autentica ospitalità e affetto.