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L’accoglienza famigliare dei profughi, un cantiere sempre aperto

Il 12 luglio a Milano una cena tra le famiglie che stanno accogliendo i profughi ucraini

L’accoglienza non è solo una forma di soccorso ai bisognosi, ma innanzitutto è qualcosa che ha a che fare con la vocazione di una famiglia: è la grande occasione per cambiare il nostro sguardo sulla vita. Così don Francesco Braschi, presidente di Russia Cristiana, ha sintetizzato il senso dei molti interventi che si sono succeduti lo scorso 12 luglio nella parrocchia milanese di Dergano al termine di una cena-incontro proposta da Famiglie per l’Accoglienza. La cena, preparata da alcuni volontari della comunità parrocchiale per circa cinquanta famiglie che dallo scoppio della guerra in Ucraina stanno accogliendo gruppi di profughi, ha visto anche la presenza di alcuni rappresentanti di AVSI e di Emmaus, che con Famiglie per l’Accoglienza e altre organizzazioni hanno dato vita allo sportello Help Ukraine Point, ora diventato un vero e proprio Hub ospitato nella sede di UniCredit di viale Monza. 79 (M1 Rovereto).
L’assemblea è stata ricca di testimonianze, ma anche di domande che hanno evidenziato la grande complessità di un’accoglienza mai prima sperimentata in questi termini: interi nuclei famigliari ospitati nelle case di altre famiglie, con tutto il fascino dell’incontro con l’altro, ma anche il carico di fatica della gestione della vita quotidiana delle famiglie: il lavoro, la scuola per i minori, l’apprendimento dell’italiano, le urgenze economiche e i ritardi da parte delle istituzioni pubbliche rispetto alle promesse fatte, l’imminenza delle vacanze e infine la ricerca di una casa e di un lavoro perché l’eventuale progetto di permanenza in Italia non si esaurisca in puro assistenzialismo che sfibrerebbe le famiglie accoglienti e toglierebbe dignità alle persone accolte.
Dall’altra parte, pur dentro alle criticità, non poche sono state le testimonianze di una capacità di risposta solidale espressa dalle famiglie che hanno cercato una sponda nelle associazioni di riferimento e insieme hanno fatto appello ad amici e parenti per non restare soli dentro all’avventura dell’accoglienza. Le associazioni presenti si sono lasciate interrogare dalla pregnanza delle domande emerse. È più evidente ancora, alla luce dell’esperienza di questi primi mesi, che non si può fare accoglienza da soli, che l’accoglienza richiede un lavoro sempre più preciso in sinergia che impegna in prima persona le famiglie insieme alle associazioni di riferimento, fino a interpellare le responsabilità delle autorità pubbliche. È un lavoro che costruisce pezzi di pace e che chiede di continuare guardando dentro a tutta la complessità che pone, ha detto Luca Sommacal a conclusione dell’assemblea.