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L’accoglienza fra marito e moglie: prima esperienza di perdono

Lo scorso 21 gennaio a Modena si è tenuto l’incontro del Gruppo Adozione Regionale dal titolo “L’accoglienza fra marito e moglie: prima esperienza di perdono”. Ecco il racconto di un’amica.

Domenica 21 gennaio io e mio marito siamo andati a Modena per un incontro sull’accoglienza tra marito e moglie.
Abbiamo sempre avuto a cuore questo tema che dai primissimi giorni di matrimonio ad oggi ci coglie impreparati e ci appare in qualche modo un punto “irrisolto”. Nella coppia l’accoglienza della diversità dell’altro diventa nel tempo il sintomo dell’unità inattesa tra i due sposi che non nega le differenze e non censura gli errori.
Veronica e Giovanni lo hanno illustrato con parole semplici ed esempi efficaci, raccontando dei propri limiti e delle proprie paure.

Mi ha colpito in particolare Giovanni quando ha raccontato che in alcune occasioni si arrabbia in modo esagerato con i figli e ha spiegato che il risultato della sua sfuriata è la grande amarezza che gli resta e la fatica di ripartire qualche passo indietro nel rapporto che sta costruendo con i figli. Veronica cerca di non intervenire nei momenti in cui lui sgrida i ragazzi, lo sorprende nel suo errore e, senza la pretesa di cambiarlo, lo perdona, lo osserva e lo accoglie anche in questa parte del suo carattere che non condivide. Non senza fatica, immagino io (che ho un marito simile), non senza fargli presente che ha esagerato, ma condividendo con lui il dolore del suo sbaglio.

Un altro aspetto che voglio sottolineare dell’incontro è il fatto che non hanno censurato il dolore (ancora vivo) di non poter avere figli naturali. Dolore che c’è e che non si sono fatti scrupolo di condividere. Questo mettersi a nudo mi è sembrato generoso verso il pubblico di persone che era venuto ad incontrarli (tra i quali probabilmente qualche coppia che sta vivendo la stessa difficoltà) e mi ha dato la misura della loro unità. Solo il marito per la moglie e la moglie per il marito possono condividere un livello così profondo di “mancanza”, di “desiderio” e di “domanda”. “Se fosse di colore?” chiede un giorno un sacerdote a Veronica prima dell’arrivo delle accoglienze, “sarebbe un problema?” e lei ha il coraggio di dire che sì, sarebbe un problema perche renderebbe evidente che non sarebbe stato un figlio naturale. Solo nella coppia questo sentimento (non egoistico, non snob, non razzista) può essere compreso e non censurato. Una fragilità che messa nelle mani dell’altro non fa più così paura e diventa una forza, tanto che negli anni la fecondità della famiglia di Veronica e Giovanni si è allargata con figli in affido e adottati di cui prendersi cura.

Uno di questi figli è stato tutto il tempo dell’incontro in braccio alla sua mamma. Questo fatto mi ha colpita moltissimo. Mi sarei aspettata che i genitori si ritagliassero un paio di ore “da soli” per parlare all’incontro della loro famiglia e del rapporto di coppia… Invece cosa fanno? Non solo portano i figli ma uno lo piazzano proprio al centro dei riflettori. “Elemento di disturbo”? Beh, sì, spesso richiamava la loro attenzione e loro venivano interrotti. “Elemento di fatica” ? Certamente, perché dai loro interventi capiamo che ha bisogno di cure quotidiane che richiedono tempo e un minimo di competenza infermieristica.
“Elemento di unità”? Ecco, si arriva al punto: le attenzioni a lui erano un triangolo di sguardi: la mamma guardava il papà e poi il bambino, il papà guardava la mamma e poi il bambino, con la serenità data dal rimando dell’altro. Il bambino a un certo punto ha iniziato ad allontanarsi da loro e si è divertito a scavare tunnel sotto le gambe degli astanti e a correre nei corridoi laterali… Nessun imbarazzo, nessun rimprovero: la sua corsa, che ha colto tutti di sorpresa, ha in estrema sintesi reso concreta la fecondità del loro cammino, del loro guardarsi, portando insieme le fatiche, rispettando la libertà dell’altro.