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L’amicizia tra famiglie. Storie di speranza

Anche quest’anno abbiamo deciso di chiudere i nostri incontri prima della pausa estiva con una serata a Cesena dal titolo “Cocomerata estiva. L’amicizia tra famiglie. Storie di speranza”

Presso il convento dei Cappuccini a Cesena erano presenti circa 200 persone, di cui circa 50 bambini, per ascoltare la testimonianza di Margherita Ferri e Mauro Borghesi, di Lorenzo Lugaresi e Veronica Maccagnani, di Antonio Marinaro e Ilaria Guerra, con la guida di Don Gian Piero Casadei e l’introduzione della nostra amica Claudia Fava.
Le esperienze che sono state condivise sono state storie di “amicizie operative” fra famiglie.
Ed è per questo motivo che è sembrata particolarmente appropriata la canzone “Favola” di Chieffo, che invita a non arrendersi al buio, perché “c’è Qualcuno con te”.

Ce lo hanno raccontato innanzitutto Margerita (Meg) e Mauro (Mumu).
La loro è l’esperienza di una fraternità vissuta come grazia. Un’amicizia che si sono trovati a vivere al di là delle loro aspettative e con tutte le diversità del caso. Sconosciuti che hanno chiesto di essere accolti nel loro gruppo di amici con cui condividono l’esperienza cristiana: ci sono motivi per dire di no?
Con questo criterio, suggerito dalla persona che guida il loro gruppetto, hanno quindi aperto la loro amicizia all’accoglienza di altri “quasi estranei”. Ne è nata una famigliarità inaspettata: i figli e il modo di educarli sono questione di tutti, così come l’organizzazione della casa.
La famigliarità è nata ed è vissuta come un dono, ma è il frutto della sequela al carisma di Comunione e Liberazione e richiede un’obbedienza ad un metodo, così come quando si sale in montagna: devi seguire chi sta davanti e conosce la strada.
Anche nel gruppetto occorre vivere l’obbedienza al metodo che ci è stato consegnato, ricercare il giudizio degli amici, essere disposti a “spostarci”.

Il secondo dono vissuto in questa amicizia è poi stato l’apertura all’altro e il riconoscimento che nulla di ciò che accade di buono è meritato, ma che siamo oggetto di un’enorme grazia che ci è accaduta.
Nella seconda testimonianza, Ilaria e Antonio ci hanno raccontato innanzitutto della loro storia personale e di come pian piano il Signore ha scavato nella loro vita, fino a far comprendere loro in che modo potevano diventare fecondi e generativi.
Fin dall’inizio della loro vita insieme, hanno vissuto il desiderio forte di paternità e maternità, ma i figli non arrivavano. E’ nata quindi in loro una grande domanda: ma perchè il Signore non ci dona questa gioia? Cosa abbiamo fatto? Di chi è la colpa?
Così, iniziano un percorso di fecondazione assistita, ma i vari tentativi falliscono, fino a quando Ilaria e Antonio si fanno la domanda che cambierà il loro sguardo di sposi: ma noi vogliamo un figlio a tutti i costi o desideriamo aprire la nostra famiglia a una nuova vita? Entrambi si ritrovano così a constatare che il desiderio vero che avevano nel cuore era proprio quello di aprire la loro famiglia.
Così, riprendono in mano l’idea dell’adozione che avevano inizialmente scartato, percorrono tutti i passi dell’indagine preadottiva, con tutti gli interrogativi e le verifiche che questa comporta, facendo i conti con tutti i loro limiti e le aspettative deluse. Arriva poi il decreto di idoneità e subito dopo arriva anche la chiamata dei servizi sociali.
Non si tratta però della chiamata per la disponibilità all’adozione, bensì dell’accoglienza in affido di due sorelline.
Di nuovo la realtà li spiazza: erano ormai pronti per l’adozione, mentre l’affido era una proposta radicalmente diversa. Ci pensano a lungo e poi decidono di dare comunque la loro disponibilità per l’affido delle due bimbe, o almeno avrebbero voluto provarci.
Iniziano quindi gli incontri presso la struttura che ospitava le bambine.
Nel frattempo, arriva anche la chiamata dal Tribunale per l’adozione di un bimbo, ma ormai per Ilaria e Antonio la strada è quella con le due bambine che stanno imparando a conoscere, passando momenti con loro in comunità, piano piano, fino a costruire quel rapporto di fiducia che serve per ospitarle in casa loro.
Arriva anche un’altra telefonata dal Tribunale, sempre per un bimbo appena nato; ma anche qui, con sempre maggiore decisione, rifiutano. Da ottobre, quindi, A. e L. vivono a casa loro.
Il loro arrivo ha aperto Ilaria e Antonio ad una dimensione dell’amore che va oltre l’umana comprensione. Sono consapevoli del fatto che, in qualunque momento le bambine potrebbero tornare alla loro famiglia biologica. Eppure, nel presente, è possibile vivere tutto l’amore, fino in fondo.
Nell’esperienza di questa modalità del tutto inaspettata di fare famiglia, Ilaria e Antonio riconoscono di essere stati aiutati dagli amici di Famiglie per l’Accoglienza e da tutti gli altri che li hanno accolti in una città che non era la loro (non sono infatti originari di Cesena) e che li hanno dapprima invitati ad una vacanza estiva e poi li hanno ospitati a casa loro per farsi compagnia nell’esperienza dell’affido. A questi amici e a questa esperienza vissuta non possono che esprimere tutta la loro profonda gratitudine.

Lorenzo e Veronica, invece, sono sposati da 12 anni e hanno tre figli. Negli ultimi tempi hanno accolto in famiglia S., una ragazza di 18 anni che hanno conosciuto nella comunità “Amici di Gigi”, in cui lavorano entrambi come educatori.
La decisione di accogliere S. è arrivata come frutto di un’esperienza vissuta anche con i figli naturali, dove tutto è un donarsi, un perdersi, un lasciarsi fare. S. quindi è arrivata non a riempire un vuoto, ma è arrivata per una sovrabbondanza di bene che Lorenzo e Veronica stavano già vivendo. Hanno detto quindi subito il loro sì, con entusiasmo, a questa accoglienza.
Poi, sono arrivate le prime difficoltà ed è per questo motivo che quella “pienezza” che è stata all’origine del sì, ha dovuto trovare nuovamente le sue ragioni. Di nuovo, quindi, hanno fatto ricorso a quella fraternità di amici con i quali avevano iniziato a condividere tutto, dall’educazione dei figli all’uso dei soldi. Lasciarsi giudicare per come educhi i figli, discutere di come usi i soldi, dà sicuramente fastidio e ti fa fare fatica, ma attraverso questo giudizio capisci che non sei solo, c’è un Altro con te. La fatica non ti è tolta, ma gli amici ti mostrano che al fondo c’è la Luce.
Per Lorenzo, poi, l’accoglienza di S. è stata anche un po’ l’esperienza del limite.
Dopo un inizio in cui si è sentito forte e capace, anche in virtù del lavoro come educatore, poi è arrivato il tempo di conoscere le peculiarità del carattere di S., del riconoscimento della propria inadeguatezza, della propria meschinità, e forse anche cattiveria.
Anche questo scandalo è stato portato nell’amicizia della Fraternità, con quelli con cui lui e la moglie hanno deciso di condividere la vita. Il portare in quel luogo l’esperienza del fallimento è stato un fidarsi di quel posto che fin dall’università aveva iniziato a generare in loro un cambiamento. Se dunque quel luogo e quel metodo si erano rivelati veri e buoni, la sfida era rimetterli alla prova. Così, come esito della sequela a quel metodo, anche Lorenzo ha sperimentato su di sé un cambiamento di sguardo, un inizio di tenerezza inaspettata nel rapporto con S..
Ma inizia anche ad intravedere cosa è nato di nuovo nei figli: per loro S. è sorella sin dal primo giorno. Non c’è stato un momento in cui hanno pensato che si trattava di qualcuno che avrebbe rubato loro dello spazio.
Il rendersi conto di questo sguardo semplice dei figli, ha richiamato anche lui ad una conversione, al rendersi conto che, con l’apertura della loro casa all’accoglienza, avevano generato nei loro figli uno sguardo nuovo. Uno sguardo che i figli, nella loro semplicità, hanno maturato fino alla preoccupazione per gli amici, che sono – evidentemente – la loro famiglia. Nella preghiera della sera e nelle domande fatte ai genitori, i bambini, infatti, chiedono sempre degli amici, riconoscendosi così parte di una storia che deborda i confini stretti della famiglia.

La serata si chiude poi con la sintesi preziosa di don Gian Piero, che identifica nel desiderio del cuore il punto su cui si genera l’accoglienza dell’altro. Che ci sia questa vitalità, questa apertura del cuore, è un dono che ci è stato fatto, un dono che abbiamo immeritatamente ricevuto e che non possiamo tenere per noi.
Che cosa compie il mio cuore? E’ la domanda che ho io, ed è la domanda di chi viene accolto.
Se ci guardiamo in azione, scopriamo che la risposta a questa domanda è ciò che serve alla nostra vita, e il fondamento di ogni legame umano è la memoria di questa domanda radicale; io, tutti, siamo mossi da questa urgenza.
Se me ne dimentico, tutto diventa rivendicazione, lamentela, pretesa, verso Dio, verso gli altri ed anche verso noi stessi, mossi da una pretesa di compimento che corrisponde alla nostra misera misura.
Invece, c’è già un dono presente per me, Dio già risponde alla domanda del mio cuore, Dio è talmente incarnato che è presente nelle circostanze meno attese e prevedibili della vita.
E gli amici sono quelli che ci salvano dalla nostra misura, che non ci fanno chiudere nella pretesa di esiti che ci immaginiamo. Gli amici ci ricordano che non siamo noi a salvare il mondo, ma che siamo tutti abbracciati da un Altro e che ciascuno è segno di questo Amore. “Siate piuttosto felici perché i vostri nomi sono scritti nel Cielo”. I nostri nomi sono scritti nel cuore di Dio.
Cosa compie dunque il nostro cuore? La certezza che Dio non si dimentica di noi, che ha i nostri nomi scritti nel Suo cuore.
Questo abbiamo sentito in queste testimonianze: i nomi degli amici, i nomi dei figli.
I nomi di chi amiamo, non li dimentichiamo. Neppure Dio li dimentica.