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Due vocazioni, un solo cammino. Incontro con tre amici dei Memores Domini

foto «Viene un momento nella vita, in cui è evidentissimo che ogni forma della vocazione, diventa, nella sua specificità, un cammino unico». Firmato don Giussani. Ma cosa vogliono dire in concreto queste parole del fondatore di Cl? Come accade che la strada della verginità diventa un punto di riferimento utile anche a chi si sposa? E quelli che imboccano il cammino della dedizione totale a Dio – anche come forma – come vivono la vita di ogni giorno? Come fanno a stare insieme, come vivono il perdono tra loro?

A partire da queste domande domenica 20 marzo a Padova è nato un dialogo tra tre amici che abitano in una stessa casa assieme ad altri otto aderenti ai Memores Domini e 25 altri amici delle Famiglie per l’accoglienza. «La convivenza non è sempre semplice, ad esempio quando entrano nuove persone in casa», inizia il primo intervento, «è sempre qualcosa che rompe». Rompe le scatole, o forse rompe gli schemi dell’abitudine. «Guardare all’altro, del quale proprio per la lunga convivenza conosci a fondo anche i limiti, è una sfida di ogni giorno» e racconta di una persona con la quale la convivenza è a volte spigolosa. Eppure proprio la stessa persona, lavorando in ospedale, ha seguito le vicende di suor Laura, missionaria salesiana in Etiopia, che colpitissima dalla passione di questo dottore chiede: «Io in Africa voglio gente così, voglio una casa dei Memores in Etiopia». E allora qual è lo sguardo più vero, quello che si scontra con i limiti quotidiani o quello di suor Laura? «Capita un po’ come con i figli», osserva Elisa dopo l’incontro, «non siamo mai noi genitori a conoscerli meglio. Per vedere chi sono veramente bisogna guardarli in azione fuori casa. Ad esempio in estate quando vanno a lavorare in albergo».

Il secondo intervento prende le mosse da qualche cenno umoristico, raccontando di quando, matricola di Statistica, trovi un amico che ti chiede «Vieni a Messa?» mentre tu invece capisci «Vieni in mensa?» e senza sapere perché ti trovi in una chiesa. Ma ben presto il filo del discorso arriva al nodo della convivenza quotidiana. «Tu pensi di conoscere l’altro, ma in realtà, se hai un pizzico di realismo, ti rendi conto che nell’altra persona c’è un punto di fuga, tu non lo conosci davvero fino in fondo. Di qui nasce la domanda “ma tu chi sei?” Altrimenti prevale il mettersi d’accordo. Per un quieto vivere ti sottrai dal confronto con l’altro, ma così implicitamente lo fai fuori». Dinamiche, osserva qualcuno, che si ripresentano identiche anche nella vita famigliare.

Il terzo racconto è la storia di una vocazione sbocciata a vent’anni in un pellegrinaggio a piedi a Czestochowa e della provocazione costituita da Nicola, un coetaneo gravemente ammalato che con tutta probabilità non si sarebbe potuto sposare né diventare prete o altro (sarebbe morto di lì a qualche anno). Eppure quella persona dalla salute così fragile era viva, vivissima e viveva ogni istante con un’intensità e una serenità invidiabili, «al punto di far venire voglia di essere come lui». «Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne», è il versetto del libro di Ezechiele citato. E questa è la promessa che Cristo fa dentro la forma specifica della vocazione di ciascuno. «Se la vivi così, l’altro diventa qualcuno che è chiamato come te alla stessa pienezza, e allo stesso tempo il modo concretissimo con cui il Signore ti chiama, anche dentro il fare da mangiare o lo sparecchiare la tavola».