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“La domanda sull’origine non è solo ‘storica’, ma quotidiana”

Una trentina di famiglie si sono ritrovate lo scorso 11 novembre a Milano per accompagnare il cammino adottivo di ciascuno. Spunto di discussione è stata la domanda: “Io chi sono, che compito ho nella vita? Come posso abbracciare la ferita di mio figlio?”.

Moltre testimonianze dopo la cena in comune – mentre i bambini giocavano in altra sala ed i ragazzi guardavano un film. Qui alcuni appunti (non rivisti dagli autori).

Beppe: “La storia della nostra adozione è  stata caratterizzata da un percorso complicato ma oggi stiamo vivendo una situazione di tranquillità. Così capisco che anche la mia tranquillità deve essere sempre in movimento perché il rapporto educativo non è mai finito. Ogni giorno devi fare i conti con un Altro. Per nostro figlio anche il posto di lavoro è stato il contesto in cui si è reso conto di fare esperienza di accoglienza! Questa sua esperienza, come quella che viviamo noi genitori, è di conforto per la nostra famiglia”.

Massimo: “E’ un periodo in cui mia figlia sta vivendo un’esperienza di sofferenza sulla sua origine che si manifesta particolarmente in ambito scolastico. Qual è il livello di risposta che  possiamo dare al dolore? L’unica domanda che avvicina al dolore di mia figlia – che non è il mio – è la domanda di senso per la mia vita. Così, a questo livello c’è la possibilità di comunione, di essere genitori. La domanda sull’origine non è solo ‘storica’ cioè riferita ad una circostanza passata, ma quotidiana”.

Barbara: “La circostanza che vivono le mie figlie è pervasa da un duplice dolore: la morte prematura della loro mamma e l’ombra presente di un padre assente. La quotidianità della vita porta a ‘normalizzare’ questo dolore (ci sono le cose da fare, la scuola, gli amici, ecc.) che però permane sempre. La domanda di ogni giorno, implicita ma chiara e forte, delle nostre figlie è: oggi dov’è la promessa di bene per me? Riconoscere il dolore e la domanda di questi figli vuol dire prenderli sul serio”.

Mariagrazia: “Sono stata provacata dal tema proposto per questa serata che parla della povertà. Mi è venuto in mente quando abbiamo fatto la domanda per l’adozione; pensavamo di essere il meglio. Negli anni ci siamo resi conto di ciò che ci ha tenuto in piedi: grande gratitudine di poter condividere ansie, paure con gli amici con la possibilità di essere accompagnati. Quale promessa di bene? E’ stata quella di diventare più donna, più madre, più capace di gratuità”.

Gabriella: “Abbiamo incontrato le famiglie che l’estate scorsa hanno ospitato i bambini ucraini. Alcuni avevano fatto molta fatica con i ragazzi ospitati. Altre ci hanno detto che è andato tutto liscio. Anche in questa circostanza favorevole, hanno dovuto lottare contro l’abitudine. Un’altra famiglia ci ha testimoniato: ‘per non dar fastidio non entravano in rapporto’. Quando tutti rispondono ai clichè si rischia di vivere anestetizzati; se non ci abituiamo a mantenere viva la domanda nella situazioni favorevoli, quando siamo nel buio è molto più difficile”.

Luca: “Nell’adozione, ma non solo, siamo chiamati a vivere una vertigine: non puoi risolvere il dolore dell’altro. Noi pensiamo che il massimo della vita sia eleminarlo e consideriamo un fallimento il fatto che non riusciamo a togliere il dolore. C’è una ragione semplice: non siamo Dio. Lo scopo del nostro stare insieme è cercare di non nascondere questa vertigine”.

Elio: “Di fronte alla mia parternità ed in generale alla vita mi chiedo: qual è il mio compito? Io non riesco a dare una risposta compiuta. In questi ultimi anni si è concretizzato tutto ciò che desideravamo eppure ci troviamo oggi a dire che anche questo non basta. Quando ti sei fatto un’idea di come le cose debbano andare poi diventi anche pretenzionso”.

Una grande serata di condivisione per le famiglie ed un passo nel cammino dell’adozione e, in generale, della vita di ciascuno.