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Io (di) chi sono? “Un buco nero pieno di materia da scoprire”.

Sabato 24 marzo il gruppo adozione reincontra Simona Sarti, assistente sociale e autrice del libro “Io (di) chi sono” (Bonomo Editore).

“Il lavoro fatto nei mesi scorsi sul libro è stato un ‘punto di lancio’ – dice Pia Maria introducendo l’incontro – che ci apre alla consapevolezza che per essere genitori adottivi occorre un lavoro da parte nostra anche per ricordarci che non siamo genitori di serie B”. Simona inizia sottolinenando come il lavoro fatto dal gruppo sia importante, perchè “Dice di un metodo, che venga l’esperto dentro una proposta come avete fatto voi è più interessante perchè tocca momenti di vita vostra, personale, che cambia continuamente: ‘digerire’ esperienze di altri dice di una serietà”.

Si parte con la prima domanda sulle problematiche delle dipendenze da Internet. “E’ un mondo che dobbiamo comprendere di più, è un mondo che cambia ogni mese – dice Simona – Ricordiamo però che per i nostri figli, nati dopo il 2000 e quindi cosidetti nativi digitali, è un mondo reale: mentre giocano al videogioco noi pensiamo che loro stiano perdendo tempo, ma in realtà loro stanno vivendo. Alcuni dicono che la dipendenza si misura in ore in cui si sta al computer. Per i figli non è così perchè loro vivono una parte delle loro relazioni e interessi su una piazza virtuale.

Lo sforzo che dobbiamo fare noi ‘immigrati digitali’ è capire cosa fanno quando sono online, fare domande, cercare di comprendere di più i meccanismi di questo mondo parallelo. Chiediamo, per aiutarli a giudicare ciò che vivono e vedono. Il grande rischio di questo modo di comunicare è che si rimane in superficie, non ci sono spazi di riflessione. Internet spegne gli altri bisogni e il contatto con lo sguardo di un altro. Per capire chi sono devo potermi confrontare con un sguardo, con un altro termine di paragone. Solo se da piccolo ho mangiato tortellini e lasagne posso capire da grande se mi piace il sushi o la bagna cauda, visto che siamo in Piemonte”.

La seconda domanda richiama la condizione dei ns figli “Vivono in un continuo altrove. I genitori di prima, di adesso, l’io dell’altro paese, di questo, un continuo indovinarsi in mondi sconosciuti. Come possiamo aiutarli in questo complesso percorso di integrazione?” “E’ una domanda molto bella. Bisogna capire che questa è la fatica da fare, e che riguarda tutti i figli. Se devo decidere chi sono e di chi sono, devo avere di fronte qualcuno da cui iniziare a differenziarmi, devo combattere i genitori. E un figlio adottivo combatte i quattro genitori nei due presenti. Questi figli hanno in loro un buco nero. Sono stata piacevolmente sorpresa quando ho scoperto che un buco nero nello spazio non è vuoto, ma è un insieme così imbrogliato e pieno di materia che non riesce a passare la luce. E noi dobbiamo tirare fuori questa materia, questi pezzi di storia, che hanno nel loro DNA”.

Il confronto si dipana con esempi di storie di adozione faticose, figli complessi soprattutto al sopraggiungere dell’adolescenza, ma allora vale la pena adottare? e Simona conclude “Io sono una fan dell’adozione, forse perchè sono una sorella adottiva mancata, mio padre desiderava adottare e mia madre non se l’è sentita, ogni bambino adottato che incontro è un po’ il mio fratello mancato. Le esperienze di adozione sono preziosissime dal punto di vista umano, questi figli non sono vostri dall’inizio, voi non potete dare per scontato nulla, imparate da subito il non possesso dei figli. Mi sono nutrita per trent’anni di miracoli, storie che sembravano senza speranza rifiorite. C’è sempre un punto di fuga, un lato umano non incasellabile in teorie, ma non da soli, c’è bisogno di una compagnia che ti aiuti a dipanare i nodi. E ne vale la pena!”.

L’incontro si conclude con la cena in condivisione e un momento di festa per il compleanno di tre magnifici figli: 2-3-12: auguri!