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Alfonso: “La decisione di accogliere nasce dalla gratitudine per quanto ci è stato donato nella vita”.

Domenica 17 giugno ad Inverigo la giornata di convivenza – di fine anno sociale – di Famiglie per l’Accoglienza della provincia di Milano. Tante esperienze e tanta compagnia tra famiglie. Qui una sintesi di alcuni interventi. In alcune storie i nomi sono di fantasia.

Accoglienza di un migrante nel progetto ‘Un rifugiato a casa mia’
Antonella: “B. è un ragazzo di 20 anni del Mali ed è arrivato in Italia du anni fa dalla Libia con un barcone. E’ stato in casa nostra per otto mesi. Io, in accordo con mio marito, avevo dato la disponibilità all’accoglienza perché mi sembrava il minimo che si potesse fare di fronte alle immagini quotidiane di sbarchi di disperati, trasmesse dai telegiornali, e alle sollecitazioni del Papa.
Dopo alcune settimane di convivenza ho cominciato a conoscere meglio la situazione ed ho scoperto che non rientrava nelle categorie standard del bisogno: lui non fuggiva dalla guerra e dalla fame. Era venuto in Italia, rischiando anche di naufragare, per seguire un suo istinto di avventura, attratto dalla possibilità di fare soldi. La cosa mi ha sorpresa e ha destato incomprensioni e difficoltà, ma poi ho cominciato a volergli bene, superando considerazioni di qualunque tipo, pensando che comunque anche lui, come me, è voluto e amato dal Signore, che vuole servirsi anche di noi per dimostrargli il suo amore. Al momento del distacco ci siamo salutati con commozione.
Posso dire che mi stupisce sempre il fatto di essere finita in questa storia, dove la nostra casa è considerata casa aperta da parte di amici e conoscenti, quasi fossimo gli esperti dell’accoglienza: io come carattere sono amante della solitudine e faccio sempre fatica a stare con gli altri. Se mi guardo indietro, facendo un bilancio della mia vita, questa fatica mi ha cambiata, mi ha reso meno egoista e, alla fine dei conti, più felice”.

Esperienza di adozione
Stefania: “Quest’anno è stato un’avventura senza soste in cui l’iniziativa del buon Dio ha temprato tutti in famiglia. Le difficoltà scolastiche e non solo di nostra figlia ci hanno messo duramente alla prova. Il bene più grande che ho ricevuto dall’adozione di mia figlia, in questo anno più che mai, è un cambiamento di atteggiamento rispetto alla mia vita e a quella degli altri. Ogni volta che alla mattina mi alzo e la vedo, fin da quando era piccola , mi stupisco della sua presenza, che nella logica della cose è un regalo assoluto e immeritato. Più passa il tempo e più questa coscienza aumenta, dopo anni insieme è sempre più chiaro che le cose più grandi delle mia vita mi sono state regalate, non sono meritate: il marito che, anche se ho pensato di averlo scelto, in realtà non ho deciso di innamoramene, i genitori, gli amici, tutti dati.
L’altro cambiamento di sguardo è nel rapporto con mio marito: fin nel cammino dell’adozione siamo stati condotti a guardarci, parlarci, metterci in discussione come mai avremmo fatto. Ho scoperto che il marito non è un aiuto ma è una necessità imprescindibile per amare il proprio figlio. Il chiedere aiuto e il dipendere da mio marito, e viceversa, è stato il primo passo per chiedere aiuto e dipendere dagli amici che ci accompagnano come segno di una consapevolezza adulta e non di una debolezza.
L’ultimo spostamento di sguardo è rispetto alla sofferenza. Vedere qualcun altro soffrire è una delle esperienze più difficili: non posso togliere il dolore e non posso alleviarlo. Questa inadeguatezza mi ha cambiato: la mia efficienza e la mia operatività sono inutili, serve solo il coraggio di stare con chi è in difficoltà, di abbracciare senza parlare, di resistere davanti alla rabbia e dolore.Ho imparato una stima e un rispetto per la sofferenza di ognuno senza quantificarlo e analizzarlo ma solo stando con chi lo porta. Ad ognuno di noi è dato, ad ogni passo, una battaglia che è solo sua e che ha una dignità infinita in quanto è il passo chiesto verso il proprio compimento: niente è poco e niente è inutile.

Accoglienza estiva
Alfonso: ‘La nostra decisione di accogliere è nata dalla gratitudine per quanto ci è stato donato nella vita: una casa grande ed un benessere che abbiamo sempre voluto condividere con gli amici e che abbiamo esteso poi agli ospiti studenti che ci hanno fatto visita grazie all’Associazione.
Ospitare la prima volta “un estraneo” è stata una decisione non semplice, per quanto sia piccolissima cosa rispetto a gesti ben più nobili e grandi di generosità: sacrificare una porzione della nostra privacy, dei nostri ritmi, della nostra routine per fare entrare un altro (un Altro?), crea una certa apprensione ‘all’inizio’ e potrebbe essere fonte di disagio ‘durante’. In realtà specialmente quest’anno accogliere una ragazza russa ortodossa durante il periodo quaresimale e pasquale si è rivelata un’occasione incredibile per approfondire i riti preparatori e la liturgia, confrontandola con quella dei fratelli ortodossi.
Ricordo in particolare le chiacchierate con lei durante il rito della tisana dopo cena e le sue descrizioni della celebrazione del messale ortodosso e della sua articolata preparazione all’Eucarestia.
Quest’anno è stato particolare anche per due avvenimenti dirompenti nella mia vita: l’instabilità professionale/lavorativa e la perdita del mio papà proprio nel mezzo del periodo di ospitalità di Tania.
Ci sono stati momenti in cui dubitavo di avere la forza per superare le prove che si presentavano davanti a me. Pensavo che l’accoglienza di una persona esterna alla famiglia in un momento così delicato avrebbe rappresentato un ulteriore ostacolo alla mia tranquillità e un impegno aggiuntivo, proprio quando sentivo di dovermi concentrare ‘sulle cose importanti’. Ma la vita è un’altra cosa e se non si abbraccia tutta non è vita vera vissuta nella Speranza e nella consapevolezza che Tutto è per il mio bene.
La rinuncia ad una tranquillità alla quale eravamo abituati, si è rivelata un grande dono e la stanchezza di certi momenti, sublimata con una ricompensa incredibile: la letizia nella quotidianità.
Sentiamo più vivo e vero il valore della famiglia come luogo fondamentale di crescita e di accoglienza dove i rapporti si estendono e si approfondiscono come abbracciati da Qualcuno di più grande”.

Esperienza di affido
Luisa: “Dopo alcuni anni di affido, di una bimba, i servizi ci hanno comunicato in modo brusco e diretto che pensano di fare rientrare la piccola con sua mamma. Per me è stato un colpo allo stomaco, duro e doloroso, non sono riuscita a trattenere le lacrime durante l’incontro, aggiungendo anche un grande disagio alle parole della psicologa: ‘Lei signora forse non è pronta?’.
Dopo l’incontro sono andata in un parco e oltre alle lacrime vedevo i bimbi di una scuola in gita, e li guardavo correre e ridere, con una libertà sofferta ma nuova. Intuisco la necessità di fare spazio dentro di me al bene di M. prima di tutto e di sostenere sua mamma in questo momento di passaggio e di darle fiducia. Capisco che devo addentrami in una nuova fase di purezza dell’amore. In questo affido c’è tanto anche di me, delle mie aspettative, delle compensazioni alle mie personali ferite e dei miei progetti. E tutto ciò dovrà passare al vaglio del distacco, perché emerga ciò che davvero vale e cioè affermare l’altro e il suo valore, più che noi stessi.
Ma sebbene consapevole che questo è il percorso dell’affido – ce lo diciamo da sempre in tutte le occasioni – non sono preparata,. Spesso ci ricordiamo nelle nostre riunioni quanto questi figli ‘ non siano nostri’. Ma ora io sento innanzitutto questa figlia in affido come mia. Questa situazione mi costringe ad una nuova nascita, quella che Gesù chiede a Nicodemo: ‘Se non ri-nasciamo nello Spirito…’.