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“Una casa di accoglienza si regge sulle persone più che sui muri”

Il 31 marzo scorso si è tenuto a Senigallia  l’incontro di Famiglie per l’Accoglienza delle Marche con Fabio Catani, presidente della Fondazione della Casa di Accoglienza Santa Rita e San Giuseppe insieme con una giovane amica, Giovanna, una delle tante ragazze accolte.

Gli anedotti di Fabio e gli incontri fatti anche nella sua vita professionale mettono in luce il significato dei rapporti umani che hanno, ciascuno nella sua peculiarità, valore imprenscindibile della presenza di Cristo come è stato anche per Novella Scardovi dove, da un incontro avvenuto in un campeggio, le restituisce la certezza della radicale positività della vita.

“Per poter vivere in pienezza”, dice Fabio, “devo, come è stato per Novella, affidarmi ed obbedire a qualcosa, obbedire a dei fatti, a dei rapporti, ad una vita che si esprime”. Insomma, immergersi in qualcosa di vero. Non solo, ma anche attraverso i nostri limiti ed anche la nostra umanità ed intelligenza, abbiamo un compito e cioè  che l’altro possa incontrare “la bellezza” che noi abbiamo incontrato. Questo è l’unico compito a cui veniamo chiamati nella nostra vita.

E’ impressionante constatare come i particolari più piccoli – che nascono dal cuore, che nascono veramente da un’obbedienza a quello che abbiamo incontrato – possano generare nell’altro un cambiamento. Vuol dire che una carezza, uno sguardo, un’arrabbiatura, qualsiasi cosa che noi esprimiamo, può essere strumento di Dio per cambiare il cuore dell’uomo. Questo ci porta ad essere responsabili nei confronti di chi abbiamo vicino.

Dice ancora Fabio: “Noi siamo totalmente basati sulle nostre capacità. Pensiamo che la nostra misura sia quella per cui tutto deve tornare in funzione di quello sappiamo. Oppure mettiamo in gioco qualcosa di vero che è la fede e che incide in quello che tu fai? Novella ha detto, subito dopo l’esperienza dell’incontro: ‘La gratitudine generata da quell’incontro doveva diventare Opera’.
Riferirsi ad un’opera non vuol dire pensarla retta necessariamente da muri – la casa di accoglienza- perché essa è principalmente fatta di carne. Opera vuol dire implicare le mie mani attraverso il lavoro o attraverso la vocazione, senza avere la preoccupazione di costruire chissà che cosa”. La cosà interessante è che Novella, anche nel suo limite e nelle sue difficoltà, ha detto sì e si è totalmente dedicata a questa sfida, alla costruzione della casa di accoglienza.

Dopo la visione di un filmato con le testimonianze di Novella si conclude l’incontro con la lettura di una bellissima lettera che lei scrisse a Giovanna, una delle tante ragazze accolte, prima di partire per Bologna per gli studi e successivo lavoro.