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“Dentro questa tempesta, è in gioco chi sono io”

Che cosa è in gioco in questo momento? L’isolamento forzato e l’insegnamento di Papa Francesco indicano il lavoro da affrontare ora. La testimonianza di Giancarlo di Pescara.

«La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ‘ego’ sempre preoccupati della propria immagine». Queste parole di Papa Francesco stanno riempiendo parte dei lunghi silenzi di questa quarantena governativa e familiare («Hai una certa età, sei a rischio, non puoi uscire» dicono moglie e figli) che mi relega sulla poltrona del salotto.

Non faccio lo smart working, perché sono pensionato, non ho figli con me essendo tutti ormai usciti di casa, non ho nipotini fra i piedi perché a rischio di contagio, con una moglie preoccupata di riempirmi di mille attenzioni. In breve, una gabbia dorata. Ma queste parole da diversi giorni non mi lasciano in pace. Siamo pienamente dentro una tempesta, ho lavorato tantissimi anni dentro una terapia intensiva, la portata di quello che sta succedendo non mi permette distrazioni o sottovalutazioni. E dentro questa tempesta è chiesto anche a me di stare, senza la fretta di correre ai ripari, di trovare soluzioni, di adattarmi a questa nuova forma di vita. Ma il Papa indica la strada più scomoda di stare dentro questa tempesta, mi chiede di tirare giù la maschera che in tutti questi anni di vita mi sono impegnato a modellarmi addosso.

Dentro i lunghi tempi di silenzio mi è chiesto questo lavoro, di far cadere «il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ego sempre preoccupati della propria immagine», di imparare a vivere dentro quella Verità che vi farà liberi, perché, continua il Papa «non è il tempo del giudizio di Dio, ma il tempo del tuo giudizio, un tempo di scelta». Mi è chiesto, in questa tempesta con più forza e insistenza se sono disposto a giocare tutta la mia libertà, senza la paura di mettere in gioco l’immagine di me, con la coscienza che io sono Tu che mi fai. In certi momenti è come sentirsi con le spalle al muro, «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» allora intuisco che il punto è tenere tutte queste domande aperte dentro la tempesta e puntellare quelle piccole mosse di libertà che una preghiera più intensa e l’aiuto di una solida compagnia al destino fanno sperimentare. Un’omelia di un amico sacerdote mi aiuta: «Ognuno deve dire il suo sì sulla sua croce, dentro la sua pandemia. Tutto nel mondo deve rinascere e rinascerà dal sì di uno, dalla fede di ognuno».