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L’accoglienza e la strada per andare a fondo alla propria identità

Il 15 maggio l’Associazione di Bologna ha incontrato A. e la sua famiglia affidataria, in un incontro testimonianza sulla loro storia.

“Entrando in quella casa ho trovato quello che in qualche modo stavo cercando. Senza neanche pensare a come rispondere alla proposta di stare da loro il primo fine settimana ho detto «ok, va bene, vengo». Una decisione velocissima che nemmeno loro capivano. Ma non c’era una spiegazione da capire. Ancora vivo con loro.”

Comincia così la testimonianza di A., che oggi ha 23 anni, mentre racconta di come è iniziata la storia di affidamento alla famiglia di Elena e Gianluca quando ne aveva 14.

Lo scorso 15 maggio in un incontro su zoom alcune famiglia bolognesi e qualche amico collegato “da fuori” hanno l’occasione di ascoltare la testimonianza di questa splendida ragazza marocchina che racconta di aver trovato una famiglia che risponde al suo bisogno di sentirsi protetta e di avere qualcuno che ti aspetta a casa a braccia aperte.

Quando gli hanno presentato A., Gianluca non nasconde che aveva una grande domanda sulla strada che si stava per intraprendere, invece “nel vivere con lei e nel vivere assieme a lei la sua cultura è stato interessante il lavoro per capire cosa regge noi, cosa tiene su noi per davvero.”

Quando A. racconta di come in famiglia sia stata accolta anche la sua cultura islamica, Gianluca ed Elena si inseriscono nel racconto sottolineando quanto per loro sia stata una grande occasione per verificare che cosa sostiene loro in questo confronto. Perché il rischio è quello di far fuori un pezzo della propria tradizione per “far posto” a quella della figlia.

Gianluca sottolinea l’esigenza di un lavoro sull’identità. “Il titolo di oggi è interessante perché è vero per tutti: «Io (di) chi sono?», cos’è che mi crea e mi sostiene? Nell’accogliere A. sarebbe stato un errore far fuori qualcosa in nome del compromesso. È davvero una sfida per andare a fondo della nostra identità, una sfida da affrontare per poter permettere a lei di andare a fondo della sua.” 

Elena racconta di come questo lavoro sottolineato da Gianluca si esprima anche nelle cose più semplici: “Ci siamo trovati a chiederci «noi diciamo la preghiera prima di mangiare, continuiamo? Sì, e dopo diamo a lei lo spazio per dire la sua. Non censuriamo niente, accogliamo tutto, insieme.»(…) A Pasqua ho fatto un regalino a tutti i figli, a lei ho regalato un porta Corano. È una sciocchezza ma è l’esprimersi di quel che sto cercando di dire”.

A. sa bene che accogliere non è scontato. – “Accogliere è essere pronti a dare tutto quello che si riesce, tutto quello che si può, metterti nei panni degli altri, essere disposti ad aiutare, a servire, anche con un piccolo gesto, chi hai di fianco. (…) Quando hanno accolto anche la mia mamma, per me è stato oro. Adesso ho due mamme e sono felice! Da loro ho imparato che per amare qualcun altro bisogna prima essere se stessi ed ora è possibile anche per me accogliere la mia mamma”.

Ci sarebbe tanto e tanto da raccontare ancora, ma il riassunto migliore è quello di A. stessa: “Perché questa è la mia storia. Sono contenta di essere stata data in affido perché ho trovato quell’amore di cui avevo bisogno!”.