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Siamo tutti guaritori feriti. Incontro a Chioggia con il vescovo Giampaolo

“Cari genitori, state tranquilli, godetevi la vostra imperfezione. Siamo tutti guaritori feriti. Le nostre ferite possono diventare delle feritoie. Il perfezionismo è qualcosa di delirante, anche nell’esperienza dell’amore. Un genitore è una persona limitata e imperfetta che ha accolto un’altra persona limitata e imperfetta”.

Queste parole colgono bene lo sguardo paterno e amorevole che il vescovo di Chioggia, mons. Giampaolo Dianin, ci ha rivolto nel dialogo con lui durante la giornata regionale di Famiglie per l’Accoglienza del Veneto presso l’istituto dei padri Cavanis questa domenica, 4 febbraio. Il tema dell’incontro si è sviluppato a partire dalle parole di papa Francesco:

CAMMINATE A FIANCO DEI VOSTRI FIGLI SENZA SPAVENTARVI, MA IN ATTESA

Il lavoro di ripresa e riflessione è stato guidato dal vescovo, che ha ascoltato e risposto ad alcune testimonianze di famiglie, a partire da ciascuna delle tre parti che compongono la frase del papa. Riportiamo appunti significativi delle parole che ci ha rivolto.

1. Camminate a fianco dei vostri figli

Non ho figli naturali ma ho molti figli spirituali. Poi le persone sono cresciute e se ne sono andate per la loro vita. Quanto oggi condivideremo riguarda quindi anche me. Un figlio adottivo vuole mettere alla prova i genitori per capire se lo amano veramente come amerebbero un figlio naturale. Se quei genitori riescono a passare indenni quella prova, il figlio adottato adotta quei genitori, li sceglie. Questo non vale solo per i figli adottivi, vale per tutti. Nessun figlio ha scelto i propri genitori.

Tutti gli uomini sono figli di Dio e amati. Ma noi, battezzati, chiamati per nome, noi siamo scelti, adottati. Tutti sono figli naturali, ma noi abbiamo questo privilegio: essere scelti, adottati, da Dio. A nostra volta, se noi scegliamo di vivere il battesimo, anche noi scegliamo Dio come Padre.

La vocazione ad essere cristiani è un’adozione. L’adozione ha molto da insegnare ai genitori naturali. Un figlio non ci deve nulla. Che fatica questa gratuità, che fatica uscire dalla logica di diritti e doveri nel rapporto con il figlio. Il figlio adottato ci ricorda che i figli non sono un nostro prolungamento. L’adozione mette in evidenza che accanto al generare fisico, c’è un altro generare: quello dell’educazione, dello spirito. Non abbiamo il potere di cambiare gli altri: abbiamo solo il potere di cambiare noi stessi. Ma così facendo, un po’ alla volta, può cambiare quello che sta attorno a noi. Quando avverrà quella apertura del cuore? Forse mai. Forse quando i figli saranno grandi e saranno a loro volta genitori.

2. Senza spaventarvi

Vorrei parlarvi delle ferite, anche delle mie. Tutti abbiamo delle ferite. Ferite che sono limiti, difficoltà della nostra vita. Di fronte ai limiti dei nostri figli sentiamo lo sguardo degli altri su di noi, ci sentiamo giudicati come se non fossimo bravi genitori. È inevitabile relazionarsi con lo sguardo degli altri e di questa società che si aspetta dei prodotti perfetti. Ma una vita ferita, una vita imperfetta, non è una vita sbagliata, tutti abbiamo le nostre ferite. Come nella storia del guaritore ferito raccontata nel Talmud. Il guaritore ferito è una figura difficile, ma grazie alle proprie ferite è capace di compassione. Alla luce di questa figura del guaritore ferito, guardo a me: spesso nella mia vita ho provato a curarmi tutte le ferite. Invece si può provare ad accogliere, ad accettarle come un dono. La strada più sana è quella di chiamare per nome le nostre ferite, guardarle in faccia. Le nostre e quelle dei nostri figli, quelle che ci buttano addosso. Per poter essere abbracciate, devono trasformarsi in ferite gloriose. E qui penso alla croce. A due genitori non basta l’aiuto dello psicologo, serve che la propria umanità sia attraversata da uno sguardo di fede, dall’amore di Dio. Quando leggiamo la parabola del buon samaritano, ogni tanto mettiamoci anche nei panni del povero malcapitato. Anche noi siamo stati accolti. “Pietro mi ami più di costoro? Sì Signore, ti sono amico”. Allora Gesù cambia il termine e gli va incontro: “Pietro mi sei amico?”.

Cari genitori, state tranquilli, godetevi la vostra imperfezione. Siamo tutti guaritori feriti. Le nostre ferite possono diventare delle feritoie. Il perfezionismo è qualcosa di delirante. Anche nell’esperienza dell’amore. Un genitore è una persona limitata e imperfetta che ha accolto un’altra persona limitata e imperfetta.

3. Ma in attesa

L’attesa ci porta ad un’altra parola, la speranza. Charles Peguy usa l’immagine della sorella più piccola, che, per mano alle sorelle, le strattona. La piccola speranza è colei che si leva ogni mattina. La speranza ci fa aprire gli occhi sul positivo, ci costringe a cercare il positivo, a godere di ogni piccolo passo. Il cristiano è un cercatore del positivo.

Oltre alla speranza, l’attesa ci porta alla parola educare. Educare è una esperienza terribilmente bella. È come un contadino. Semina, innaffia, pota. Con una differenza: il contadino sa quello che pianta. Il genitore no, non lo sa, cresce insieme alla pianta. Noi siamo nella società della prestazione. Il figlio deve essere un buon prodotto. Educare significa spostare l’attenzione dal prodotto al processo. Contano la fatica, i passi, i compagni di viaggio, la voglia di tornare indietro, il farlo tuo per sempre. Ci stanchiamo di dire mille volte la stessa cosa. Invece sì, la ciclicità, l’insistenza contano. Cosa vuol dire la priorità del processo sul prodotto? È più importante il possesso dei soldi o la capacità di gestirli? La bella festa per la cresima o il cammino per arrivarci? Bisogna accompagnare alla pienezza della vita, aprire un figlio al non ancora della vita. L’educazione non poggia su tecniche psicologiche o sociologiche, ma sull’offrire se stessi all’altro. Se per educare sarebbero bastate le parole, sarebbero piovuti i vangeli dal cielo. Invece Gesù si è fatto compagno. L’ultima parola che deve aver sempre chiaro un educatore e un genitore: saper posticipare le gratificazioni. Gli anni della crescita sono avari di gratificazioni. Dobbiamo saper attendere, avere la pazienza dei processi.