L’accoglienza ci chiede di non avere paura
Monastero cistercense di Pra’d Mill (CN), dodici monaci, un angolo di quiete e preghiera, un luogo dove prevale la bellezza e l’accoglienza. La giornata di fine anno delle famiglie piemontesi l’abbiamo fatta qui.
Eravamo pochi, molti già partiti per le ferie, ma è stata un’occasione ancora più preziosa per guardare a chi era lì con tanta commozione, ogni famiglia con le sue croci e le sue bellezze. Alcuni con figli già grandi altri coi bimbi piccoli, insieme.
Di questi doni e fatiche si è parlato nell’incontro con padre Cesare Falletti nel pomeriggio, il primo monaco ad arrivare in questo luogo nel 1992 e a far nascere il monastero.
Quando incontri un monaco di clausura ti aspetti spesso che sia distaccato dal mondo, invece con il suo sguardo azzurro cristallino conosce il mondo meglio di noi e ce lo svela.
Dopo una prima presentazione, la sua domanda: “Voi chi siete? Cosa fate?”
Nel raccontare si palesa la parola accoglienza. Ecco, ci accomuna l’accoglienza.
Il monaco non vive da solo, vive in comunità come in famiglia, quando arriva qualcuno a bussare alla porta del monastero col desiderio di entrare, “ci interroghiamo su cosa fare, anche perché poi lo devi sopportare, lasciando entrare nella propria vita l’altro si accoglie Gesù. Ma l’accoglienza è scomoda, ci si deve domandare cosa vorrà dire questo nuovo arrivo, cosa porterà alla comunità, a me, perché accogliere Gesù è scomodissimo, non passa senza sconvolgere”.
Anche per le nostre famiglie è così, quel non passa senza sconvolgere si dipana nel racconto di alcuni amici, come Michele che racconta dell’esperienza dell’esame di maturità con suo figlio, che prima gli ha chiesto di accompagnarlo e poi all’orale, all’ultimo, gli ha chiesto di non entrare. “E io sono stato lì fuori impotente”.
Ecco, un distacco, anche doloroso, ma grande perché significa che questi figli pur con tutte le loro difficoltà desiderano crescere e cominciare a volare. Un po’ come la statua della Madonna col bambino dentro la loro cappella: una madre nell’atto di lanciare in aria il figlio, come si fa coi bimbi piccoli per farli ridere, ma il figlio è certo che la madre lo riprenderà, sempre.
“L’esame di maturità – dice Michele – mi ha riportato al momento del primo incontro con mio figlio e ho capito che non posso conoscere nulla di lui, che rimane sempre un Mistero insondabile”.
Padre Cesare sottolinea :” Ciò che realizza la persona è l’amore, ma non come una catena”. Cosa vuol dire legarsi ad un altro? “Legarsi è perdere un po’ la libertà, la vita è fatta di distacchi progressivi. Pensate sin dal primo distacco dalla madre, si vive il primo distacco e così man mano crescendo, altri distacchi: ed è giusto così. Viviamo in una società che non insegna più questo distacco, ed è grave”.
Anche nel legame tra marito e moglie si perde un po’ la libertà e la vita monastica è simile , perché devo fare i conti con l’altro.
“Questo monastero non è un luogo nostro, ci sono gli ospiti che vengono e noi proponiamo loro ciò che viviamo: la liturgia, la parola e loro prendono ciò che vogliono. Si vede soprattutto nei giovani che han bisogno di una vita comunitaria. Di un luogo che sia una proposta.
Abbiamo una regola, indiscussa, dieci punti base per vivere insieme, si vive così, ma è bene che la regola non diventi un regolamento che alla fine schiaccia.
Uno dei punti più importanti della regola è che ciascuno possa dare ciò che ha, chi ha di più dia di più e chi è debole non si scoraggi.”
Il pensiero va ai nostri figli, spesso schiacciati dalle loro difficoltà, dalle loro ferite, in un mondo dove prevale il dover essere prestazionali e vincenti, ma anche dove c’è una cultura del sospetto e l’altro più che amico è qualcuno da temere.
“Questo è gravissimo, conclude padre Cesare, trattare tutti da nemici, che fatica. L’accoglienza ci chiede di non avere paura.” Come è stato per Maria, all’annuncio dell’Angelo.