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“Quando si diventa capaci di perdono?”

Che cosa regge l’urto del tempo nell’accoglienza familiare? Questo il tema del pellegrinaggio di inizio anno delle Famiglie per l’Accoglienza del Piemonte e della Valle d’Aosta al Santuario di Oropa, domenica 20 ottobre, in una giornata autunnale fredda e piovosa. Durante l’incontro con Don Michele Berchi, rettore del Santuario, l’occasione di approfondire questa e altre domande.

Le domande di fondo portate a don Berchi erano: “Come vivere  con letizia e speranza le nostre realtà, spesso segnate dalla sofferenza e dalla fragilità? Come stare davanti alla libertà dei figli ? Come le coppie che fanno domanda di adozione possono affrontare, spesso, lunghissimi tempi di attesa e di verifica?”. Tante domande, che se non trovano risposta, non permettono di vedere bene ciò che accade realmente, come la nebbia scesa fuori nei cortili del Santuario.

“Qual è lo scopo di quello che fate? Qual è il fine di chi aspetta un figlio dal giudice, o di chi ha figli in adozione o in affido? Lo scopo non è dare una casa a un bambino o cose del genere. Lo scopo sei tu, il tuo cambiamento rispetto alla posizione di fronte alla vita. Lo scopo di tutto è che tu vada in Paradiso. Il Signore ci fa passare in circostanze, a volte, anche molto difficili o dolorose perché ci vuol portare in Paradiso”. Don Berchi sottolinea così che l’adozione, l’accoglienza, non deve essere vista come il piano B, come un ripiego, perché invece è il piano A: in questa prospettiva tutto prende un altro valore. E, man mano che noi cambiamo posizione, lo testimoniamo, in primis, ai nostri figli. Ascoltando le parole di Don Berchi, sono scaturite subito altre domande.

“Come fare a non incattivirsi nelle circostanze difficili. Da dove ripartire?” ha chiesto Giordana. “Si può ripartire se si sposta lo sguardo, cioè, se non si conta solo sulle proprie forze. Bisogna arrendersi al fatto che abbiamo bisogno di un Altro. Il tempo e le circostanze mi sono date per togliermi di dosso la superbia di poter fare da me e comprendere che la consistenza di sé stessi è un Altro. Il punto è se guardo a me stesso o a Cristo. Se guardo solo a me stesso, mi areno sul mio limite, se guardo Cristo, tutte le circostanze che erano contro diventano strada”.

Antonello racconta che gli assistenti sociali, spesso, parlano delle adozioni come la modalità che è servita a riparare le storie brutte che ci sono state agli inizi della vita dei nostri figli,  ma questo gli sembra riduttivo.
“La storia dei figli adottivi o affidati, pur brutta all’inizio, è pensata per voi come il piano A, ma è vero anche che la nostra libera scelta permette, nello stesso tempo, di riparare il male: un mistero per noi comprenderlo, perché non possiamo vedere la realtà come Dio”.

E ancora come si può riconsegnare un figlio alla famiglia d’origine? “Tutti siamo chiamati alla verginità. Alcuni, come i sacerdoti, da subito, anche se non sono capaci, ma anche i genitori sono chiamati alla verginità, ad amare senza pretese, senza necessità di ricevere qualcosa: vederti felice mi rende felice. Con i figli questa cosa esplode. Riconsegnare i figli che vi sono stati affidati è un passo che il Signore vi chiede”.

Sonia confessa di fare tanta fatica e di sentirsi inadeguata. Don Berchi risponde che anche a lui è capitata la stessa cosa, fino ad arrivare a farsi la domanda se avesse sbagliato vocazione. ”Lo permetti Tu, Dio. Tu lo sai che non sono capace”. Sbagliare la propria vocazione, la strada, è impossibile, perché il cuore non sbaglia e non si può dire sì, senza essere convinti, a meno di casi patologici. Il problema non è se si è sbagliato strada, ma non avere le ragioni che è quella giusta, avere dei dubbi che lo sia. “La fatica si può portare se è la strada per la Resurrezione”.

Agnese chiede di affrontare la questione del perdono nelle circostanze che ti fanno fare fatica (che si tratti di figli, del coniuge o dell’amico).
“Il perdono ha come fonte Dio. Cristo sulla croce dice “Padre, perdona loro quello che fanno. “Quando si diventa capaci di perdono? È possibile quando si vive un’esperienza di pienezza, se no, è una questione di calcolo. Gratitudine e pienezza che ti permettono di abbracciare un altro: solo Dio lo può fare. Anche tra marito e moglie sembra impossibile tornare indietro su certe incomprensioni, ma non è vero che è così”.

Stefano infine testimonia che “L’esperienza vissuta nell’adozione di mio figlio ha cambiato la mia posizione di fronte alla vita, rendendomi più umile e facendomi scoprire il dono della misericordia su di me”. Don Berchi conclude esclamando: “È una roba dell’altro mondo in questo mondo!”

Anche la nebbia si dirada e si riparte!