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La “svista” che cambia il mondo. La giornata di inizio anno in Sicilia.

La “svista” che cambia il mondo. La giornata di inizio anno in Sicilia. Il racconto di Catia

Il Santuario della Madonna delle Grazie a Chiaramonte Gulfi è un po’ come una casa per le famiglie siciliane della nostra associazione. Ci siamo venuti più volte, a ringraziare e a domandare. A ripartire insieme – come abbiamo fatto domenica 13 ottobre – per un nuovo anno sotto il Suo Manto.

Tra bambini e adulti siamo un centinaio, e tra i sorrisi e gli abbracci, ci sono anche le lacrime. Segno che la vita si fa seria, più intensa, incisiva e vera. Perché nella generazione investiamo le più belle risorse della vita, in un duplice flusso direzionale: di chi può generare, perché a sua volta rinasce, continuamente generato.

Recitiamo insieme il Rosario. Chissà quanti volti, momenti, timori, consegniamo al Mistero scorrendo quei grani. Siamo tremanti, ma certi del Destino buono con il cuore di Padre, che intreccia gli incontri e rammenda la storia.

Paolo Italia, responsabile per la Sicilia di Famiglie per l’Accoglienza, introduce l’incontro dopo un pranzo condiviso nei piatti e nella gioia. C’è attesa. Comincia il momento del dialogo e dell’ascolto. Si raccontano le storie accadute. Storie che segnano la vita di tante coppie, cementandole e rinnovandole, che portano in dono il frutto pieno della fecondità. E della verginità.

Carmelina va dritta alla prima questione: “Il nostro affido si è subito manifestato come qualcosa di assai diverso da ciò che immaginavamo. Una cosa è l’idea, un’altra i fatti. Aveva 11 anni, e io poco dopo fui costretta a letto per la seconda gravidanza. Il suo affido è durato solo un anno, non potevamo più tenerla con noi. È tornata dalle suore, ma non l’abbiamo mai persa di vista.” Racconta di adesso, di quella bimba che ora ha 21 anni, della circostanza della morte della sua mamma e della loro presenza tenace e discreta. Di questa figlia che oggi riconosce la portata del bene ricevuto in quell’anno, fino a desiderare che ci siano altre due famiglie della nostra associazione per le sue sorelline più piccole. “Abbiamo vissuto il fallimento? Sì. Ma quello che è successo è andato oltre tutto ciò che immaginavamo!” E suo marito Salvo aggiunge: “Il rapporto oggi è ribaltato. Questa ragazza mostra a me come stare di fronte alla realtà, rialzandosi ogni volta”.

Un’altra storia, di adozione, la raccontano Maria Teresa e Giuseppe. Ha i colori neri neri e i capelli crespi di un fratellino e di una sorellina nigeriani (6 e 5 anni), entrati nella loro vita l’8 dicembre scorso, per l’Immacolata Concezione. “Avevo paura ogni mattina, di affrontare i bambini. Con il loro vissuto” dice Maria Teresa, ma guardandola con quel suo sorriso solare, non lo crederesti possibile. ”Ho imparato a non avere paura di avere paura. E sto imparando a chiedere aiuto”. Giuseppe, dal canto suo, spiega: “Abbiamo tanti amici a cui chiedere, incontrati nel percorso di adozione. L’accoglienza mi ha cambiato e ha cambiato la coppia, ci ha resi più uniti, più forti, più aperti. Mi ha aperto la mente. In essa c’è una mano divina”.

L’affido di una bimba di tre anni, durato quasi cinque anni, con il rientro nella famiglia d’origine due mesi fa, fa piangere Silvana e così ascoltiamo il racconto dal marito Giuseppe. “Ha cambiato la nostra vita di coppia. Siamo diventati amici intimi in questa esperienza”. Racconta tanti particolari dell’amore donato a questa bimba: “Amore infinito, tanta gioia, felicità, viaggi, istruzione, la danza, la comunità parrocchiale”. C’è tanta gratitudine. E dolore. E domanda che un Altro guarisca le ferite.

“Si può essere ‘genitori part-time’, come è capitato a me e a Sara” – ci racconta Angelo, tra il sorriso e la commozione – “perché siamo una famiglia di appoggio per due sorelline che vengono da noi nel fine settimana, e avere la vita da due anni cambiata.” Ugo rilancia sulla relazione padre-figlio, a partire da un fatto imprevisto accaduto quest’anno e rilegge le parole di don Giussani: “Un figlio prende il ceppo dal padre, fa proprio, è costituito dal ceppo che gli viene dal padre, è costituito di suo padre. Per questo è tutto preso. Uno non può essere padre, generatore se non ha nessuno come padre. Non [attenzione] se “non ha avuto” [un padre], ma se “non ha” [al presente] nessuno come padre“. Ed è Gianni ad additare il dono della comunità: “Venivamo dalla solitudine dei tentativi di fecondazione assistita, e abbiamo incontrato l’amicizia di tante famiglie, nel percorso adozione, fatto insieme ad Alfredo. Con Rita ci siamo detti: ‘Da qui non ce ne andiamo più. Vogliamo stare qua dentro.’” Palma ricorda che la prima accoglienza è di se stessi, in quell’ “essere voluta bene, io che ero un disastro. Abbiamo bisogno di essere guariti e il Medico c’è.”

Don Antonio Giacona raccoglie e distilla quanto ascoltato. “Capisco perché questo avvenimento, delle vostre famiglie, commuoveva don Giussani. È un seme di verità e di giustizia completa, nella storia. È la novità assoluta che è presente e cresce e cambia il mondo. Accade un miracolo che raggiunge noi, i bambini, i ragazzi. Un miracolo che viene fatto a noi, attraverso di noi. Quanto bisogno di guarigione in noi (perché ancora non siamo compiuti) e attorno a noi (di una povertà umana che va accolta, accompagnata, senza progetti, senza condizioni). È il metodo, l’essenza di Dio è carità. Può vincere qualunque danno, qualsiasi ferita. Le storie raccontate sono completamente diverse, ma un tratto le accomuna: la gratuità assoluta, un imprevisto e la verginità. A noi cosa chiede? Una libertà che si muove, un sì. Una incoscienza, una ‘svista’ dentro cui il Signore fa un miracolo. Strumenti sì, ma indispensabili. È così evidente che tutto ciò che avete raccontato non è il frutto della nostra capacità. Passa attraverso la nostra povertà. Quindi non perdiamoci il Medico, perché non abbiamo ad andarcene guariti e soli. Questa origine, che non è in noi, ci fa imparare. E ci lega al Suo luogo, la compagnia. Questo avvenimento, vi assicuro, vince ogni criminalità, anche dei politici e dell’economia! Vince il male, lo distrugge!”. Nella preghiera finale dell’Angelus, ci immergiamo nella svista, nel “soffio” del sì di Maria, desiderando Tutto.

Catia Petta