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L’audacia dentro la vita quotidiana. Dialogo con Gimmy Garbujo della Casa San Benedetto

L’audacia dentro la vita quotidiana. Dialogo con Gimmy Garbujo della Casa San Benedetto

E’ possibile accogliere in tempo di Covid? Dove sta la convenienza? Perché l’accoglienza non può mai essere data per scontata? Da queste domande è partito l’incontro del gruppo affido di Milano, il primo dell’anno, svoltosi il 4 gennaio. Ospite per l’occasione Gimmy Garbujo, responsabile della casa San Benedetto di Villafranca (Verona) e presidente di “Dimore per l’Accoglienza”, associazione nata all’interno di Famiglie per l’Accoglienza come rete delle case famiglia.

Ecco il racconto di Maria Elena. “Abbiamo incontrato un uomo certo, grato, al lavoro con sé stesso e con la realtà che incontra, capace di mettersi in discussione davanti al bene prezioso che sono i figli accolti. Con molta semplicità, soprattutto, ci ha detto di aver messo 15 anni di storia e di vita della casa famiglia per capire, con grande evidenza, che la fortuna più grande nella accoglienza, è la presenza stessa dei figli che ci sono dati. Sta a noi, al nostro sguardo e alla nostra libertà, intraprendere il cammino e il lavoro”.

Gimmy ha fatto alcuni esempi. “Perché fa tutto questo?” gli chiede un’impiegata dei servizi sociali. E lui: “Per gratitudine”. Oppure una poesia di Leopardi lo fa pensare alle domande che ha dentro di sé ogni uomo e cambia lo sguardo nei confronti di una figlia accolta, che ha potuto vedere in modo diverso, come una persona piena di esigenza e di attesa. O ancora, le 22 accoglienze di questi 15 anni lo hanno portato a rispondere, di botto, al figlio accolto e diventato adulto, che tanto lo aveva ha fatto penare: “Torna quando vuoi, questa è casa tua”. E poi, la vicina di casa spiega così la decisione di fare una donazione all’opera in memoria di un defunto: “Perché negli anni ho notato che da Casa San Benedetto escono bambini dal volto felice”.

Continua Maria Elena: “Bellissime e vere le domande che sono seguite alla testimonianza di Gimmy: come si fa ad essere grati quando l’accoglienza ti scombina la casa e la vita? Come si fa a capire quando ripartire per una nuova accoglienza o invece fermarsi? Come si fa a fare compagnia al dolore dei nostri figli? Gimmy ha richiamato il valore del proprio cuore, mai sazio di partire e rispondere in modo libero, magari anche diversamente da quanto si vorrebbe e si è immaginato, se le circostanze si impongono. Ha parlato del profondo dono che sono i nostri figli, e del dolore grande che hanno nell’avere dovuto lasciare i propri genitori e del dolore logorante dei genitori di averli lasciati, e che cercano di fare quello che possono. Come ci ha detto Gimmy, dobbiamo imparare a fare il tifo per i nostri figli, a stimarli per quello che sono, a metterci accanto a loro”.

Ma cosa può aiutare in questa strada? “Innanzitutto il rapporto tra marito e moglie, ambito privilegiato dove andare a fondo delle proprie domande. E poi gli amici: il loro sguardo gratuito ti ‘tira in piedi’. Che è poi la compagnia che ci facciamo tra famiglie in questa storia, e la grande possibilità della nostra opera. E allora in questo modo ci sentiamo raggiunti dal Bene e capiamo di non essere soli. Ed è evidente vedendo il volto grato di Gimmy. Quando ha finito di rispondere alle domande – aggiunge Maria Elena – c’è stato un profondo silenzio commosso: mi è sembrato di essere stata in alta montagna, quando l’aria fresca entra nei polmoni, come se quell’aria fresca entrasse nelle stanze della mia casa, spesso soffocanti. Terminato il collegamento mi sono alzata dal pc e ho accarezzato mio marito, grata che ci fosse”.